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Luca Dinoi: «Così ho salvato la dea Afrodite dal fondo del mare»

di Redazione

29/01/2017 Oltre città

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 Luca Dinoi: «Così ho salvato la dea Afrodite dal fondo del mare»

            «Mercoledì scorso (il 25 gennaio, ndr) mi sono immerso nei fondali di Capo San Vito per andare a pesca. C’era un’onda lunga, il mare mosso e la visibilità sotto costa era scarsa. Perciò mi sono allontanato verso il largo. Ero solo e non si deve fare». Comincia con un’autocritica il racconto di Luca Dinoi, ventotto anni, maestro professionale di tennis, scopritore in fondo al mare di Taranto d’una statua che, secondo una prima valutazione, potrebbe essere un’Afrodite greca del quarto secolo avanti Cristo.

            Dopo che cosa è successo?

            «Mi sono appostato, in mezzo a un manto di alghe, su un fondale di argilla e sabbia profondo tra i dieci e i quindici metri. Mi predisponevo a fare l’attesa a una spigola. Improvvisamente, sotto il gomito, ho intravisto qualcosa d’insolito».

            Era la statua.

            «Si. In un primo momento, però, non ho capito bene che cosa fosse. C’era uno spiraglio nell’argilla da cui si scorgeva un oggetto estraneo al contesto marino. Ho cercato di tirarlo fuori. Mi sono immerso diverse volte facendo cinque, sei sali-e-scendi. Alla fine ho capito che era una statua, anche abbastanza grande, e ce l’ho fatta a estrarla dal fondo del mare».

            Eri in apnea, come è previsto per la pesca subacquea.

            «Esattamente. Perciò non ho potuto fare una ricognizione accurata. Dopo aver recuperato la statua, ero distrutto. Mi sono subito allontanato per tornare a riva».    

           

             Ma c’è o non c’è un relitto là sotto?

            «Quando ho estratto il piedistallo, dall’argilla è fuoriuscito un vaso che non sono riuscito a prendere. Sicuramente c’è qualcosa. Ma non sono riuscito a vedere che cosa sia esattamente. Sul fondo c’era una corrente forte che probabilmente ha rimosso uno strato notevole di sabbia e di argilla. Perciò ho potuto intravedere la statua quando ho poggiato il braccio. Dovendo muovermi in apnea, mi sono però concentrato solo su quello che stavo facendo. Quando torneremo con le autorità, con i loro mezzi e la loro esperienza potrà sicuramente venire fuori tutto quello che c’è».  

            È prevista una data?

            «Probabilmente questa settimana ci ritorneremo con gli archeologi».

            Sei sicuro di poter ritrovare il punto esatto?

            «Non è semplicissimo perché non avevo della strumentazione gps con cui prendere esattamente le coordinate. Ho segnalato l’area, che è stata interdetta alla navigazione e sorvegliata dalle forze dell’ordine anche a riva. Spero di riuscirci».

            Che cosa hai fatto quando sei tornato a casa?

            «Non ho compreso subito che cosa avessi realmente trovato. Guardarla nel salotto dei miei genitori, però, era da non crederci. Ho detto a mio padre: potrebbe stare bene qui. Lui mi ha risposto: ma sei impazzito? Si cercava di sdrammatizzare. Quando abbiamo più o meno compreso che poteva essere un oggetto di grande valore, siamo stati orgogliosi di quello che stava succedendo».  

            Come mai ti sei rivolto al sindaco di Taranto e non ad altre autorità?

            «Temevo che se mi fossi rivolto alla Soprintendenza, la statua sarebbe stata impacchettata e spedita a Bari, e da lì a Roma. Ho voluto che fosse il sindaco a vederla per primo e a prenderla in custodia perché mi auguro che rimanga a Taranto. Mi è costata parecchia fatica riportarla a galla e non l’ho fatto perché finisse lontano dalla mia città».

            Si era detto che eri di Martina Franca.

            «No, sono di Taranto e lavoro al Circolo Tennis Bari. C’è stato probabilmente un equivoco perché per molti anni ho giocato a tennis per lo Sporting Club Martina Franca, lavorando con il maestro Angelo Sforza. Anche la mia fidanzata è di Martina».

            Quindi un po’ martinese lo sei. Dal salotto di casa dei tuoi genitori la statua è finita in poche ore sul tavolo del sindaco Ezio Stefàno.  

            «Ho telefonato a mio zio affinché lo contattasse e mi hanno fissato subito un appuntamento per il giorno dopo. Lui era fuori città, altrimenti saremmo andati a consegnargliela la sera stessa. Al mattino alle 9 di giovedì eravamo a Palazzo di Città. Lui ha chiamato subito una professoressa di Storia dell’arte e un archeologo per avere un’opinione».

            Cosa hanno detto?

            «Secondo loro dovrebbe essere la dea Afrodite mentre si lava, un soggetto del quale sono state trovate raffigurazioni solo su vasi di terracotta. I tecnici della Sovrintendenza di Bari ritengono che dovrebbe essere una statua greca del quarto secolo avanti Cristo e avere un valore inestimabile».

            E adesso?

            «Vedremo innanzitutto di ritrovare il punto dove l’ho rinvenuta e capire che cosa ci potrebbe essere ancora. Al sindaco ho fatto una richiesta esplicita: che, quando sarà possibile, sia esposta al Museo di Taranto. È quella la sua sede naturale».

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