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Dilma Rousseff all’Università del Salento: «La democrazia è nemica dello stato di eccezione»

di Pietro Andrea Annicelli

29/01/2017 Oltre città

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Dilma Rousseff all’Università del Salento: «La democrazia è nemica dello stato di eccezione»

Si è svolto il 27 e il 28 gennaio a Lecce il seminario internazionale sul tema La solitudine della democrazia, organizzato dall’Università del Salento in occasione dei venticinque anni dalla pubblicazione della Teoria della società di Niklas Luhmann e Raffaele De Giorgi. Nella prima giornata, sul tema La democrazia corrosa dallo stato di eccezione, è intervenuta con una conferenza magistrale l’ex presidente del Brasile Dilma Rousseff. Hanno anche relazionato il sociologo Raffaele de Giorgi dell’Università del Salento, sul tema Miseria del diritto e violenza della politica, e l’ex ministro brasiliano della Giustizia José Eduardo Cardozo, che ha argomentato sul tema La corruzione giuridica della democrazia. Nella seconda giornata si è svolta la conferenza sul tema La corruzione politica della democrazia, con interventi di Flavio Alves Martins, docente dell’Universidade Federal do Rio de Janeiro, Massimo Meccarelli dell’Università di Macerata, Attilio Pisanò, Luciano Nuzzo e Corrado Punzi dell’Università del Salento.     

La legalità, quando è separata dalla giustizia, può servire a isolare la democrazia favorendo il dispotismo e l’iniquità? È l’interrogativo sottinteso agli argomenti discussi all’Università del Salento. E Dilma Rousseff, trentaseiesima presidente del Brasile destituita lo scorso agosto, prima donna eletta alla massima carica del più grande Paese sudamericano, non è stata una semplice relatrice di prestigio. Lei è anzi una delle principali espressioni, se non la più rappresentativa, dell’attuale scenario politico internazionale rispetto alle questioni del rapporto fra diritto e democrazia.

«Sono vittima d’un golpe perché a fondamento del mio impeachment ci sono stati tre decreti che non rappresentano più dello 0,01% del bilancio nazionale. Sono stata accusata di aver modificato questa percentuale irrisoria del bilancio a favore dell’istruzione, della sanità e della sicurezza pubblica», ha sostenuto nella conferenza stampa. Nel concreto, secondo l’accusa, avrebbe manipolato i conti del governo per minimizzare l’impatto del crollo delle esportazioni sulla spesa pubblica. «È stata anche una prassi dei miei predecessori. Se ho sbagliato, si è trattato d’un illecito amministrativo, non di un crimine. Altrimenti anche i presidenti che mi hanno preceduta avrebbero dovuto essere accusati».

La destituzione dell’erede di Luiz Inácio Lula da Silva, primo presidente del Partito dei Lavoratori in carica dal 2003 al ’10, è stata un ulteriore colpo a un Paese gravemente prostrato dalla recessione seguita al crollo del prezzo delle materie prime su cui aveva fondato la precedente crescita economica, e dalla corruzione endemica. Il 58% dei parlamentari che hanno votato per la cacciata della Rousseff sono accusati d’aver intascato tangenti per contratti firmati con l’azienda petrolifera statale. È Lava jato, la mani pulite brasiliana. E Michel Temer, il vice presidente che l’ha sostituita e che ha diretto la campagna contro di lei, è accusato di aver intascato una tangente di trecentomila dollari da un contratto sull’energia nucleare. Non potrà candidarsi alle presidenziali del 2018 a causa di alcuni illeciti elettorali commessi nel passato. Perciò non teme di rendersi impopolare con misure di austerità.    

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