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Due o tre cose su Eligio Pizzigallo

di Pietro Andrea Annicelli

10/07/2017 Editoriale

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Due o tre cose su Eligio Pizzigallo

 

«Sapere e vedere che tanta gente piange per la mia sconfitta mi ripaga di gran lunga delle fatiche e delle umiliazioni subite in questa campagna elettorale. Porterò dentro le grandi emozioni che mi avete regalato. Abbiamo mostrato a tutti che la politica può sdoganare le coscienze ma non è bastato! Quasi la metà della città continua a dormire! Pensiamoci! Ringrazio con affetto i tanti che hanno creduto in me, che mi mandano messaggi, mi telefonano, mi cercano! È dura ma mi rialzerò e vi abbraccerò uno a uno».

È il definitivo commento su Facebook di Eligio Pizzigallo al voto del 25 giugno dopo i primi due, chiaramente scritti sull’onda dell’emotività, e un terzo nel quale si è scusato per le asprezze. Al di là dei convincimenti, è interessante il passaggio in cui parla di «umiliazioni subite». Potrebbero essere gli attacchi, deprecabili ed evitabili, degli avversari in campagna elettorale. La nostra sensazione è però che egli ce l’avesse con qualcuno dei suoi che non ha remato abbastanza o per il verso giusto.

È stato, Pizzigallo, un candidato sbagliato? No. Sul piano del riscontro numerico, l’unica soluzione preferibile sarebbe stato forse un accordo, mai reso realmente praticabile, tra Direzione Italia e Forza Italia per la candidatura a sindaco di Pino Pulito. In politica da anni e con un ampio consenso personale radicato, Pulito sarebbe verosimilmente stato più competitivo. Ma non altrettanto innovativo. Ed è qui la contraddizione tra la figura per certi aspetti nobile dell’uomo della società civile e le liste politicamente confusionarie che lo hanno candidato.

Pizzigallo è stato scelto dai LeAli per Martina, l’unica forza, delle cinque, tendenzialmente nuova. L’hanno preferito a Martino Ancona proprio per rappresentare la volontà di rinnovare la politica. I LeAli avrebbero però dovuto esprimere una classe dirigente che gestisse la campagna elettorale e vincolare la coalizione a candidature innovative anche nelle liste, come fece nel 1993 Martina Libera e Solidale. Ha invece avuto l’ultima parola Direzione Italia di Gianfranco Chiarelli, ovvero Renato Perrini e Donato Marinosci. Con quale risultato? Riciclare la vecchia politica. La dimostrazione? Dei quattro eletti, oltre a Pizzigallo, in Consiglio comunale, solo Giulietta Marangi ci entrerà per la prima volta. Giovanni Basta, Giuseppe Chiarelli e Michele Muschio Schiavone sono veterani del Centrodestra dell’ultimo ventennio.   

La coalizione, a differenza di quelle per Franco Ancona e per Pino Pulito, ha poi scontato un deficit d’identità politica. È apparsa subito alquanto eterogenea: più un cartello elettorale che un’alleanza programmatica. E non per la sola convergenza dei sostenitori di Chiarelli e dei Muschio Schiavone, fino ad allora fieramente contrapposti, ma anche per la ricollocazione degli ex del Partito Democratico, la cui azione politica è stata reiterare le doglianze sulla sindacatura Ancona piuttosto che valorizzare la nuova appartenenza proponendo soluzioni ai problemi di Martina.

Cinque liste, una e due più di Pulito e Ancona, hanno garantito agevolmente il ballottaggio. Ma i voti in meno di quelli per le stesse liste, unico fra i candidati sindaci, dovevano mettere in guardia Pizzigallo sull’inaffidabilità di alcuni. Il primo turno è stato un’ecatombe per aspiranti assessori e vice sindaco. Non tutti sono ripartiti per andare a vincere: succede se le ambizioni e gli interessi prevalgono sul senso di appartenenza. Però toccava ai politici, non al candidato sindaco, prevedere e rimediare.

Si poteva trattare un apparentamento con Forza Italia su basi programmatiche serie: sarebbe stato un segnale di maturità. La mera dichiarazione di sostegno di Pulito e dei suoi, a denti stretti e poco credibile, a poche ore dalla chiusura della campagna elettorale, è stata più un ulteriore elemento di ambiguità che non un endorsement. E alla fine la sconfitta può essere ritenuta anche un danno collaterale della mancanza di dialogo tra entrambi i colonnelli di Chiarelli, Perrini e lo stesso Pulito, senza che in tutto questo tempo il deputato abbia voluto o potuto farli riappacificare. Ma un candidato sindaco innovativo non doveva dipendere, tra l’altro, da una situazione così inafferrabile dalle ragioni del suo impegno. E che sia accaduto è solo un esempio del mancato ricondurre le volontà personali a sintesi generale e ad azione politica di cui non ha colpa Pizzigallo, ma i referenti delle liste e i loro candidati.

Se Pizzigallo fosse stato un candidato sindaco inadeguato, il divario da Ancona sarebbe stato ampio. Invece è stato ridotto, a conferma che a mancare è stato lo sforzo finale della coalizione. Perciò, forse, l’arrabbiatura finale dell’uomo reso fragile dalla scoperta d’essere stato tradito e frenato da cause indipendenti dai propri meriti o demeriti va letta come una volontà di rigenerazione. Basta con l’essere amico di tutti per cercare di mediare tra persone che fanno finta di stare insieme e poi si defilano quando vengono meno i loro interessi. Basta con i giochi condotti da altri che regolano i loro conti personali prescindendo dal valore e dal senso di responsabilità come misura del confronto politico.

Facendosi riabbracciare dalla famiglia, le cui foto caratterizzano un profilo Facebook da neofita dove spicca la spontaneità della persona vera, non la narrativa algida e astrattamente professionale dell’immagine elettorale, Eligio Pizzigallo si è ripreso sé stesso. Oggi ha pubblicato la celebre If di Rudyard Kipling. Un passaggio recita: «Se puoi sognare e non fare dei sogni il tuo padrone; /se puoi pensare e non fare dei tuoi pensieri il tuo scopo; /se si può incontrare il Trionfo e il Disastro /e trattare alla stessa maniera questi due impostori; /se riesci a sentire la verità che hai detto /rigirata dai furfanti per farne una trappola per gli stolti / o vedere rotte le cose per le quali hai dato la vita /e fermarti a ricostruirle con gli arnesi ormai logori / (…) tua è la Terra e tutto ciò che ha».  

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