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Direttore Pietro Andrea Annicelli

Tommaso Pioggia: il futuro è qui

di Redazione

17/08/2017 Società

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Tommaso Pioggia: il futuro è qui

Andare. Girare l’Italia, l’Europa e oltre. Guadagnarsi un futuro. Tornare perché il presente, e forse il futuro nuovo, sono nella terra da cui si proviene. È la storia di Tommaso Pioggia, giovane cuoco martinese che, nei giorni scorsi, ha coronato il sogno di aprire un ristorante.

Com’è iniziato tutto?

«Per cominciare, occorre appassionarsi. E per continuare, una volta imparati i fondamentali del mestiere, occorre innamorarsi di questo lavoro. Fin da bambino mi piaceva seguire mia madre e mia nonna nella preparazione delle ricette tipiche. Gironzolavo in cucina, fin dalla mattina presto, mentre il pomodoro bolliva lentamente fino a mezzogiorno riempendo l’aria di profumo. Andavamo d’estate a prendere la farina al mulino. Restavo a guardare mentre preparavano a mano le orecchiette. Quand’era il tempo della vendemmia, stavo accanto a mio nonno. E ricordo gli assaggi dei dolci natalizi appena sfornati, i piatti appena pronti. Il mio preferito? Le orecchiette alle cime di rapa».

E poi?

«Quando è stato il momento d’iscrivermi alla scuola superiore, ho scelto l’Alberghiero perché aspiravo a poter fare quello che avevo qualche volta sbirciato nelle cucine dei ristoranti. D’estate lavoravo. Il sabato e la domenica, trattorie e pizzerie. Poi, una volta diplomato, ho lavorato in tutti e quattro i villaggi turistici di Castellaneta Marina e lì ho incominciato a imparare i segreti del mestiere. È stato fondamentale, per la mia formazione, uno chef martinese: Vito Norvedi. È stato un po’ il mio maestro. A lui devo molto».

Quando sei partito per l’estero?

«A diciannove anni. Sono andato a Londra dove ho lavorato per un anno in un club privato, l’Harry’s bar. Ci andavano a mangiare parecchi personaggi famosi. Vedevo come in un sogno questa cucina magnifica, con tante padelle di rame, che mi ricordava quella del cartone animato Ratatouille. L’anno successivo ho lavorato a Porto Cervo. Poi all’Hotel Royal di Sanremo, a Zermatt in Svizzera, a Saint Moritz, Riva del Garda, Madonna di Campiglio, Roma, Capri ... Ho girato tanto che faccio fatica a ricordare tutti i posti dove sono stato. A Monza ho cucinato per la Formula Uno. Quando lavoravo in montagna ho imparato lo snowboard e a Dubai l’ho fatto nel deserto».

Poi il ritorno a Martina. 

«Il mio sogno è sempre stato avere un ristorante tutto mio. Due anni fa ho smesso di andare in giro per il mondo e sono tornato. Ho avuto l’opportunità di lavorare a La Sommità di Ostuni e ho incominciato a pensare che forse era arrivato il momento di fermarmi e mettermi in proprio. Quando sono andato in ferie ho cercato il locale adeguato. L’ho trovato a Crispiano, mi è piaciuto tantissimo e ho fatto la mia scelta. Adesso c’è Tomà Restaurant: quello che volevo».  

Cosa fai assaggiare ai tuoi clienti?

«Sicuramente la cucina tipica delle nostre parti. Mi piace però rinnovarla e renderla più fresca riprendendo i vari alimenti per riproporli in chiave moderna: cotture particolari, sottovuoto, salse. Non mancano dei piatti internazionali che ho imparato nelle mie esperienze all’estero e che mi piace proporre. Infine, ci sono dei miei piatti originali dove sperimento degli abbinamenti specifici di mia ideazione».   

Cosa ti ha dato trascorrere molti anni lontano da Martina?

«Ho visto culture nuove, cibi nuovi, abitudini alimentari diverse dalle nostre. Mi piaceva girare per i mercatini, conoscere le verdure e i frutti propri dei luoghi dove lavoravo, i cibi tipici. E chiedere, scambiare idee, ricavare ricette. Ho conosciuto passioni alimentari delle quali ignoravo l’esistenza e che oggi mi sono familiari. Soprattutto mi piaceva scoprire gli ingredienti e i sapori antichi, estranei alle preparazioni cosiddette industriali degli alimenti. Oggi, anche per fare un semplice ragù, m’interrogo per valutare se posso arricchirlo con qualche ingrediente particolare che, senza fargli perdere il suo gusto tradizionale, possa renderlo più buono. In Puglia, c’è l’imbarazzo della scelta. Abbiamo frutti, ortaggi, alimenti di grande qualità pressoché a chilometro zero. Perciò, per la mia cucina, credo nella mia terra e metto tutto insieme nella mia valigia culinaria per tirare fuori l’ingrediente appropriato al momento giusto».

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