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Annamaria Zito e la tratta delle nigeriane

di Redazione

05/05/2018 Società

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Annamaria Zito e la tratta delle nigeriane

 

Vite ai bordi, Edizioni Leucotea, presentato nei giorni scorsi, è il terzo romanzo di Annamaria Zito. È la storia vera di Ife, giovane vedova nigeriana, e del suo percorso fino alle strade italiane dove, come molte connazionali, finisce per prostituirsi. 

In passato, con L'amaro sapore dei fichi secchi, hai trattato il tema delle violenze alle donne della Ciociaria durante la seconda guerra mondiale, le cosiddette marocchinate. Il tuo nuovo lavoro letterario, Vite ai bordi, ha per protagonista una donna nigeriana costretta a prostituirsi. Sono storie che scaturiscono da una tua attività di ricerca che porta a queste scelte narrative o ci sono altre ragioni?

«È stato proprio L'amaro sapore dei fichi secchi a condurmi a Vite ai bordi. L'8 marzo dell’anno scorso ero ospite di un evento pubblico per parlare di violenza di genere facendo riferimento alla storia e al mio romanzo. In quella occasione, accanto a me era seduta Simona Fernandez, presidente dell'Associazione Salam che gestisce lo Sprar di Martina Franca, impegnato quotidianamente nell'accoglienza dei rifugiati in Europa. In quei giorni Simona viveva il dramma di una sua giovane ospite rimasta invischiata nella tratta sessuale nigeriana. Affetta da HIV, lottava contro la morte. È stato proprio quel dolore a spingere Simona a propormi di raccontare il terribile fenomeno mafioso che porta le donne dalla Nigeria alle nostre strade. Ricordo ancora il giorno in cui, tra documenti da studiare e ricerche varie, Simona mi comunicò che la sua ospite era morta. Da quel momento il mio coinvolgimento è cambiato e ho sentito tra le mie mani il peso della responsabilità». 

Lo sfruttamento sessuale ha delle vittime ma anche, per quanto sia odioso dirlo, un mercato. E ciò riporta alle responsabilità dei cosiddetti clienti delle prostitute. Secondo te, per quanto riguarda queste persone, c'è un problema d'incultura e d'insensibilità umana e sentimentale che porta a vedere come oggetti le donne che si prostituiscono, di solitudine che conduce alla ricerca a pagamento d'un surrogato dell'amore oppure il discorso deve essere trasportato su altri piani?

«Vite ai bordi racchiude la storia di tante giovani nigeriane che, spinte dalla povertà, cadono tra le mani della maman, punta della piramide mafiosa, divenendo carne da macello. Un prestito per il viaggio in Europa, un giuramento dinanzi a un sacerdote juju e il gioco è fatto. La paura di ritorsione contro i familiari e il terrificante assoggettamento psicologico le terrà legate al mercato della prostituzione. Uno degli aspetti che più mi ha impressionato è stato scoprire che l'Italia è una delle nazioni europee con la più alta richiesta di prostitute nigeriane. Sicuramente, finché ci sarà richiesta, il fenomeno della tratta non cesserà di esistere. Obiettivamente la responsabilità è anche nelle mani dei clienti. Il fenomeno della tratta sessuale nigeriana si conosce poco. La maggior parte dei clienti non immagina minimamente ciò che le ragazze hanno vissuto ancor prima di arrivare in Europa. E ciò che subiscono ogni giorno. Se sono vive, è solo per miracolo. Probabilmente la consapevolezza del fenomeno potrebbe mutare la richiesta. Ma non è scontato che sia così. Per molti uomini, anche acculturati, queste donne sono esclusivamente oggetti sessuali. Un mezzo per sfogare rabbia e insoddisfazioni». 

Quanto serve parlarne?

«Fino a qualche mese fa, prima di conoscere questo fenomeno, ogni volta che mi capitava di vedere delle donne sul ciglio di una strada, non potevo fare a meno di pormi alcune domande: perché? Cosa c'è dietro? Cosa le costringe a rimanere legate a quella sedia di plastica? Poi Simona ha deciso di parlarmene. E grazie a lei ho trovato una risposta ai miei quesiti. Parlarne è necessario. È un'arma contro il pregiudizio. Contro l'idea che è qualcosa lontana da noi: che non ci tocca. La dignità umana riguarda tutti. E considerato che non c'è giorno che non venga violata, è doveroso attivarsi per provare a distruggere questi meccanismi mafiosi. Finché ci sarà ignoranza e indifferenza, ognuno di noi avrà sempre una parte di responsabilità. Sul territorio nazionale ci sono diverse associazioni impegnate attivamente con le vittime di tratta. Ma questo, da solo, non basta. Bisogna sensibilizzare le coscienze. E chiunque conosca il fenomeno può farlo e in diversi ambiti: nella scuola, in famiglia, nella coppia o tra amici». 

Dove arriva e finisce la responsabilità individuale e dove comincia e arriva quella sociale?

«Siamo tutti responsabili della superficialità con cui ci guardiamo intorno. Forse dovremmo andare oltre quella gonna troppo corta, o inesistente, e i tacchi alti. Dovremmo andare a fondo nei loro sguardi vuoti, al limite della morte. Riporto un pensiero tratto da Vite ai bordi: “Se il vento del Sahara può dissolvere una montagna, anche noi un giorno dissiperemo questo mostro”».

 

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