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Iolanda Di Pierro: oltre il dolore, il senso della vita

di Redazione

15/01/2019 Società

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Iolanda Di Pierro: oltre il dolore, il senso della vita

 

Ci sono molti modi per elaborare un lutto. Quello di Iolanda Di Pierro è stato, grazie al fratello Maurizio, regista, la realizzazione del cortometraggio La vita non aspetta.  Proiettato la settimana scorsa a Locorotondo, il film sarà riproposto il 26 gennaio a Martina Franca. Iolanda, interprete di se stessa, ha rivissuto l'esperienza drammatica, undici anni fa, della perdita del figlio. L'obiettivo di questo cinema verità non è cambiare il passato, ma rendere migliore il futuro.

Perchè questa scelta, tanto sorprendente quanto sicuramente dolorosa?
«Ho cercato di dare continuità al senso della vita. Avevo cercato di elaborare il lutto della perdita di Giuseppe scrivendo la sua storia per una futura pubblicazione. Maurizio ne ha tratto una sceneggiatura e abbiamo realizzato il corto. L'abbiamo proiettato una prima volta l'8 aprile dello scorso anno. Poi è stato portato nelle scuole con lo scopo di sensibilizzare alla donazione degli organi. Non ho timore di raccoltare la storia di mio figlio perchè può essere di aiuto ad altre famiglie che, come successe a me, si trovino ad affrontare questi eventi drammatici. Così facendo, è come se mio figlio continuasse, in qualche maniera, a esserci. La cosa più importante, però, è che la donazione degli organi può contribuire a salvare delle vite. E se avviene, allora ho raggiunto il mio obiettivo».

Qual è la storia di Giuseppe?
«Mio figlio, che proprio oggi avrebbe compiuto diciassette anni, aveva dieci mesi quando ha iniziato ad avvertire i sintomi di quella che si rivelerà essere una patologia cardiaca. La malattia è stata scoperta un po' in ritardo, qui a Martina Franca, dopo una serie di cure che andavano in tutt'altra direzione. L'abbiamo portato a Bari e in seguito a Roma. Lì Giuseppe è stato sottoposto a ben cinque interventi perché era stato deciso che, in attesa di poter ricevere un trapianto, avrebbe vissuto con un cuore artificiale. Il suo organismo non riusciva però a convivere con questa macchinetta. Allora è stato collegato a una macchina esterna che lo teneva in vita. Alla fine il cuore compatibile è arrivato, ma era troppo tardi: il giorno dopo, Giuseppe ci ha lasciato. E quel cuore è andato a un bambino che era in lista d'attesa da una settimana».

La vita non aspetta racconta tutto questo.
«Si. Sono contenta che mio fratello abbia avuto questa idea. Mi sono cimentata per la prima volta nella recitazione. Alla fine, rivivere quello che era successo è stato triste ma emozionante. Non si è trattato d'una vera e propria recitazione, ma di rievocare spontaneamente quello che avevo vissuto. E aver legato il corto al tema della sensibilizzazione alla donazione degli organi lo ha reso un progetto d'amore».

Che cosa si aspetta in futuro?
«Che la coscienza della donazione degli organi diventi parte del senso comune. È triste pensare che qualcuno debba morire affinché altri, attraverso i suoi organi, possano continuare a vivere. Rappresenta, però, una soluzione importante affinchè chi è nelle condizioni di poter vivere riceva l'aiuto necessario. Per Giuseppe non hanno fatto in tempo, però il bambino che ha ricevuto il cuore che era destinato a lui ha potuto farcela. Come madre, dare continuità al senso della vita è la maniera più giusta affinché il ricordo di mio figlio resti sempre con me».

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