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Francesco Lenoci: «Il Festival e la cultura come vantaggio competitivo»

di Pietro Andrea Annicelli

17/08/2017 Economia

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Francesco Lenoci: «Il Festival e la cultura come vantaggio competitivo»

«Il recente dato della Svimez è agghiacciante: il Mezzogiorno raggiungerà il livello di ricchezza prodotta prima della crisi economica solo nel 2028. A questo punto, l’unica carta che ci resta da giocare è la cultura. Altrimenti, secondo questi dati, accumuleremo dieci anni di ritardo rispetto al resto del Paese». Francesco Lenoci, docente di Economia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, consulente di prestigiose aziende pugliesi, tra i martinesi Patriae decus, è molto preoccupato. Perciò, invitato dal Rotary Club di Grottaglie, lo scorso 28 luglio ha tenuto una conferenza sul tema Storie di creazione di valore: il Festival della Valle d’Itria.    

Come riposizionare Martina rispetto a questa situazione in parte critica, in parte in grado di aprire nuove finestre di opportunità?

«Martina ha uno straordinario vantaggio competitivo: il suo legame con Milano, dove attualmente si parla di dislocare l’Agenzia europea del farmaco estromessa da Londra in seguito alla Brexit. Probabilmente è il suo più importante vantaggio competitivo. A Grottaglie ho ricordato cosa feci il 7 maggio 2015. A Milano c’era l’Expò e parlai nella prestigiosa Sala Alessi di Palazzo Marino. Con la Fondazione Nuove Proposte di Elio Greco assegnavamo il Premio Giacomo Giacobelli, intestato al segretario generale di Martina che spostò la sede del Municipio dalla Società Artigiana al Palazzo Ducale e che, dal gennaio al 25 aprile 1945, fu segretario generale a Milano per poi esserlo anche a Bari. Quel giorno parlai di Milano e Martina unite da un sogno: il teatro e la musica. Era il sogno di due ragazzi, Paolo Grassi e Giorgio Strehler, che il 14 maggio 1947 costituirono il Piccolo Teatro. Era il sogno di Alessandro Caroli che, con il sostegno dell’allora sindaco Franco Punzi e un gruppo di appassionati della lirica, nel 1975 realizzarono a Martina il Festival della Valle d’Itria». 

Dove vuoi arrivare?

«Ogni anno, nel ricordo di Grassi, i due sogni s’incontrano. Quest’anno il direttore del Piccolo Teatro, Sergio Escobar, ha detto che il Festival della Valle d’Itria e il Piccolo sono ognuno una costola dell’altro. E a me è venuto in mente un signore che a Milano lavorava all’Alemagna, Rodolfo Celletti, che Paolo Grassi invitò nel 1976 come critico e che un anno dopo, per l’entusiasmo che manifestò verso il Festival, ne divenne consulente artistico per poi diventarne il direttore artistico qualche anno dopo. Celletti rappresenta il punto d’incontro tra Grassi e Alessandro Caroli. È soprattutto grazie alla sua direzione artistica che è stato possibile che una città del sud conosciuta per il vino, i cavalli e gli asini, le confezioni, diventasse la città del Festival della Valle d’Itria. Lui giocò la carta del belcanto e operativamente lanciò artisti che in breve sarebbero diventati dei grandi nomi della lirica. Penso a una ventenne Daniela Dessì, a un giovane Pavarotti. Ho sentito con le mie orecchie Fabio Luisi dire che deve tutto alle passeggiate con Celletti. Attraverso il belcanto, Martina è stata trasformata nella città del Festival». 

D’accordo. Ma oggi?

«Si può ragionare pensando a quello che è avvenuto a Manchester, dove iniziò la rivoluzione industriale. Ora è la città della musica. A Martina, fatte tutte le debite differenze, è avvenuto un fenomeno simile: da città dei cappottari a città del Festival. È un vantaggio competitivo sul quale insistere in maniera seria. Dobbiamo continuare a parlare di Martina come capitale del belcanto. È questa l’immagine vincente che ci caratterizza. Come ha scritto Cesare Brandi, Martina è un luogo nel quale, se passeggi per il centro storico, può capitare d’incontrare Mozart o Paisiello». 

Come si può fare?

«In Italia il valore aggiunto della cultura, secondo gli ultimi dati, è pari a novanta miliardi di euro. Si tratta del 6% dell’intero valore aggiunto, cioè millecinquecento miliardi. Il dato della Puglia è 2,7, cioè il 3% dei novanta miliardi. È un dato ridicolo nonostante tutti, con la cultura, si riempiano la bocca: la Lombardia fa il 26%. Quando si crea valore, puoi creare valore intangibile e tangibile. Il primo è una conseguenza del secondo. Martina, come valore intangibile, è a livelli eccellenti. Occorre ora, e in questo conta molto il legame con Milano, tramutarlo in valore tangibile. Si tratta d’una grande scommessa che si deve vincere. E lo si può fare attraverso i mecenati. Ne avevamo uno, Lino Cassano, ma il Signore ce l’ha portato via nel 2004. Dobbiamo trovarne degli altri. E il Festival, in termini di creazione di valore, è il massimo riferimento per la cultura a Martina e uno dei più interessanti in Puglia». 

Come si può sviluppare questa possibilità d’incremento economico che il Festival potrebbe rappresentare per la città e il territorio?

«I principali festival in Italia sono quello dei Due mondi di Spoleto, Il Festival Puccini a Torre del Lago, il Ravenna Festival, Il Rossini Opera Festival. Sono i nostri competitor principali. Nel 2013 il Festival della Valle d’Itria si è classificato al quinto posto in Italia. La situazione è rimasta immutata. Loro, rispetto a noi, hanno un rapporto straordinario con i mecenati e gli sponsor. Spoleto ne ha uno solo ma di peso: Banca Intesa. Il nostro più importante sponsor, invece, sono le Cantine di San Marzano. Poiché è evidente che difficilmente, nella fase attuale, si potranno ottenere grandi sponsorizzazioni dal territorio, occorre rivolgersi all’estero. E non dovrebbe essere impossibile se si pensa che il direttore musicale, Fabio Luisi appunto, dirige anche il Metropolitan Opera House di New York. Questo asse Milano-Martina-New York andrebbe rafforzato. Occorrono poi mecenati nel territorio, quindi imprenditori capaci. Oggi non c’è una grande capacità di creare ricchezza. I nostri imprenditori sono piccoli, quindi c’è un problema serio di dimensioni. Per attrarre investimenti che non siano il cinese o l’arabo di turno occorre, come ha detto il papa, una nuova semina delle capacità imprenditoriali. Quindi va fatto funzionare il volano della cultura sapendo che il territorio, come è successo a Grottaglie alla manifestazione del Rotary, è pronto a riconoscere in Martina una città traino. Questo è il nostro compito».

Ce la possiamo fare?

«È una sfida difficile perché i numeri sono bassi. Oggi al Festival partecipano intorno alle quindicimila persone: devono crescere. E si può fare anche attraverso eventi di spettacolo nel territorio: a quel punto avrebbe senso riaprire l’aeroporto di Grottaglie. In Puglia gli eventi di maggior richiamo sono la Festa della Municeddha a Cannole e La notte della taranta a Melpignano. Si tratta, sostanzialmente, di feste paesane: quello che vogliono la maggior parte dei turisti. Il segreto di Borgo Egnazia è la festa paesana offerta a un pubblico di vip: Madonna che festeggia il suo compleanno ballando la pizzica ne è un esempio. Cosa possiamo fare a Martina? Il Festival ha inventato l’opera nelle masserie. Può essere la nostra idea vincente. Deve però farlo tutto l’anno in tutta la Puglia, unendo alla masseria il cibo e la moda. L’opera nella masseria con il brand del Festival della Valle d’Itria, rappresentata in tutta la regione, può diventare il prodotto nuovo che garantisce flussi economici importanti. Se arriviamo a duecentomila persone l’anno, ce l’abbiamo fatta».

Nella foto in copertina, Francesco Lenoci in raccoglimento davanti alla tomba di don Tonino Bello. Al centro, con Fabio Luisi (foto Cataldo Albano, per gentile concessione).  

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