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Silvio Laddomada: «Sono ottant’anni che si scarica nel sottosuolo, salviamo le riserve idriche»

di Redazione

11/03/2016 Società

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Silvio Laddomada: «Sono ottant’anni che si scarica nel sottosuolo, salviamo le riserve idriche»

Silvio Laddomada, presidente del Centro di documentazione grotte Alto Salento di Martina Franca, tra i fondatori del locale Gruppo speleologico quarant'anni fa, una vita nell'editoria locale e fondatore con Pietro Andrea Annicelli di Cronache Martinesi, è la persona che ha fatto chiarezza, dal suo profilo di Facebook, sulla questione dei liquami in Valle d'Itria. «Ѐ dagli anni Trenta che si scaricano i reflui nel sottosuolo. Ci voleva il sequestro del depuratore da parte della magistratura affinché tutti si accorgessero di quanto sia grave questa situazione».

Voi speleologi di Martina e del territorio da quanto siete consapevoli del problema dello scarico dei reflui nel sottosuolo della Valle d'Itria?
«Fin dai primi rilievi negli anni Settanta il problema ci apparve significativo. Sul piano documentale, la nostra prima segnalazione avvenne in un numero del periodico Città e campagna nel 1980 con un articolo,Speleologia come realtà sociale, a firma dello speleologo Giuseppe Palmisano. L'obiettivo era sensibilizzare i martinesi sul gravissimo problema della canalizzazione della fogna, risalente già agli anni Trenta, quando cioè avvenne il passaggio alla rete fognaria dalle carrizze dove si scaricavano i residui orinali, fotografate all'epoca da Alfonso Messia in via Paisiello. È nato allora il problema di dove far convergere la fogna».

E si guardò alle cavità sotterranee come soluzione.
«La cosa più pratica e ovvia fu indirizzarla e nasconderla nel sottosuolo. A ciò si prestò la grave di Cupa, che si trova appena inizia la Valle d'Itria all'incrocio con le vie vecchie per Locorotondo e Alberobello. Questa voragine ha assorbito per decenni la fogna, finché la capacità di smaltimento si è interrotta perché le parti solide, non separate da quelle liquide da un depuratore, l'hanno definitivamente intasata. Già in passato si sono verificati allagamenti di vasti tratti dei campi coltivati. Casualmente la canalizzazione carsica superficiale di queste acque trovò una nuova via di profondità nel sottosuolo attraverso una voragine prima sconosciuta, quella che corrisponde all'incirca alla zona dove fu costruito l'attuale depuratore e dove sono state scaricate le acque fino a oggi».

Dal 1980 a oggi come può essere cambiata la natura del sottosuolo nella zona?
«Sicuramente è molto probabile che un'ampia parte sia presumibilmente inquinata, considerato che Martina ha quasi cinquantamila abitanti. È ovvio che oggi la situazione possa risultare pericolosa e che il problema dell'inquinamento richieda interventi importanti».

Non è stata fatta nessuna iniziativa per sensibilizzare l'opinione pubblica?
«Nel 2002, come Centro di documentazione grotte, abbiamo indetto un convegno nazionale sul temaL'acqua che berremo, gli speleologi difendono la risorsa potabile del sottosuolo pugliese. Organizzammo quattro giornate di dibattito con iniziative, tra cui conferenze e attività didattiche nelle scuole, a cui parteciparono il professor Cosimo d'Angela su tema L'acqua degli antichi, l'ingegner Filippo Perretta sull'approvvigionamento idrico in puglia, il dottor Vito Fumarola sugli aspetti socio antropologici e devozionali dell'acqua, il professor Nicola Cippone su L'acquedotto romano del Triglio, dalle sorgenti carsiche al porto di Taranto. Quest'ultima fu una relazione straordinaria perché documentò come i romani prendessero l'acqua dai monti di Martina Franca sotto Crispiano per portarla fino al porto di Taranto. Tutto questo per garantire acqua pura di sorgente alle navi che partivano per l'Africa, acqua cioè non inquinata come accadeva con quella dei pozzi. L'architetto Pietro Laureano intervenne sul tema Il futuro della tradizione nella gestione delle risorse idriche del pianeta. Io parlai sul tema Protezione e risanamento dell'ambiente carsico con riferimento alle gravi usate come discariche d'ogni genere. La dottoressa Mina Lacarbonara relazionò sul tema La carta speleologica e della fenomenologia carsica di Martina Franca.Vennero stampati all'epoca duemila poster sull'inquinamento e la salvaguardia degli acquiferi carsici. Furono distribuiti in tutte le scuole della Puglia. Si cercò di sensibilizzare i bambini, ma ho l'impressione che occorresse istruire soprattutto i grandi. Ottenemmo anche l'alto patronato del Presidente della Repubblica, all'epoca Carlo Azeglio Ciampi, e pubblicammo gli atti. Fu un momento molto alto di presa di coscienza che doveva portare a un cambiamento, ma nulla accadde».

Qual è il bene sotterraneo più importante da salvaguardare?
«Sicuramente l'acqua. Occorre partire dalla considerazione che tutto quello che finisce nel sottosuolo rischia d'inquinare irrimediabilmente l'immenso mare di acqua dolce che c'è nelle viscere della Puglia e che è una risorsa e una riserva straordinaria per tutta l'Italia. Il nostro sottosuolo calcareo fa da spugna conservando questo tesoro sotto la roccia. Perciò salvaguardare il sottosuolo della Valle d'Itria è una questione veramente seria se si considera che a pochi chilometri, nel Canale di Pirro, è stata scoperta recentemente una nuova voragine che per la prima volta è stata attraversata in profondità dall'uomo fino a raggiungere la falda acquifera, quindi il fiume sotterraneo della Puglia. È stata toccata con mano una consistenza straordinaria di acqua potabile dalla profondità non accertata. È la prima volta che avviene: in precedenza, l'esistenza del fiume sotterraneo era stata accertata solo con le trivellazioni. C'è quindi una risorsa immensa di acqua potabile che deve essere salvaguardata».

Te l'aspettavi il sequestro del depuratore e di conseguenza del tratto della Martina-Locorotondo dove sorge?
«La chiusura della statale forse non se l'aspettava nessuno, quindi neanche noi speleologi. Se oggi stiamo pagando queste conseguenze drammatiche, vuol dire che i politici, gli amministratori e i tecnici non hanno voluto ascoltare le osservazioni più lungimiranti che da quarant'anni sconsigliano di protrarre lo sversamento dei reflui nel sottosuolo. Il depuratore ci allarmava perché ci risultava che i valori dei reflui fatti confluire nel sottosuolo dopo la depurazione fossero inadeguati, per cui il depuratore probabilmente funzionava fino a un certo punto. Nel sottosuolo le acque non vanno immesse se non depurate completamente. La speranza è che l'accaduto porti a realizzare un depuratore finalmente moderno che garantisca l'ambiente dall'inquinamento».

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