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Direttore Pietro Andrea Annicelli

Non chiudete l'Ilva

di Vincenzo Cesareo*

21/05/2018 Editoriale

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Non chiudete l'Ilva

 

Attorno al risanamento o alla chiusura dell’Ilva di Taranto si rincorrono in questi giorni, anche a seguito della stesura oramai ultimata del contratto di Governo, voci contrastanti e in alcuni casi anche molto confuse.

Ritengo che un po’ di chiarezza, considerato che si parla del futuro del nostro territorio, non guasterebbe.

Confindustria ha sempre ribadito, anche a mezzo stampa in questi ultime concitate ore, la sua netta contrarietà alla fermata dello stabilimento e continua a sostenerne fortemente le ragioni. Pur nel rispetto delle diverse opinioni, riteniamo infatti che la chiusura, invocata erroneamente come se fosse realmente la risoluzione di tutti i mali, non farebbe che aggiungere povertà a un territorio già dilaniato da una crisi visibile a tutti, e che coinvolge tutti i settori.

E mi fermo qui, attendendo che chi è di parere diverso mi possa spiegare, però portandomi a conforto risorse, strumenti e cifre, senza parlare di fantomatici accordi di programma (come se mettere giù un accordo fosse già una soluzione), come poter impiegare una forza lavoro di quindicimila e passa unità, se consideriamo anche l’indotto. E dovrebbe anche spiegarmi che fine farebbe il risanamento ambientale, finora strettamente legato alla prosecuzione dell’attività.

Abbiamo tutti, credo, sotto gli occhi vicende di aziende dismesse che ancora oggi, dopo diversi lustri, non trovano soluzione per il ricollocamento al lavoro dei loro ex dipendenti, trascinati stancamente da un anno all’altro fra ammortizzatori sociali e soluzioni stiracchiate e temporanee.  E siamo, in questi casi, nell’ordine delle decine, delle centinaia di unità nei casi più gravi. Abbiamo sotto gli occhi, sul piano del risanamento, il caso Bagnoli, reale ed emblematico.

Altro aspetto, che in questo momento mi preme ancor di più, che coinvolge (e sconvolge, purtroppo) tutta la comunità, è la sicurezza: la tragedia dello scorso 17 maggio ha riproposto in tutta la sua drammaticità una questione che non si può lasciare all’improvvisazione, ai rinvii, ai provvedimenti tampone.  Bene ha fatto il governatore Emiliano a porre l’accento sulla necessità di controlli con vigore e convinzione. Bene, a loro volta, i sindacati, che attorno alla questione si sono ritrovati, con un coro unanime, a pretendere un intervento deciso da parte dello Stato, chiamando in causa anche il Presidente della Repubblica.

Basterà? Non lo so. Ma la questione è prioritaria, non più derogabile, vitale nel senso letterale del termine, come lo è quella del risanamento ambientale della fabbrica, che è l’altra faccia della stessa medaglia, perché la sicurezza non contempla solo la solidità e l’affidabilità degli impianti, ma anche l’impatto che gli stessi hanno nell’ambiente circostante.

È questo l’aspetto che più di altri, in questo momento della travagliata storia del nostro stabilimento, preme con più forza, e su cui dovremmo tutti concentrare le nostre istanze. Dovrebbe essere questa la nostra conditio sine qua non per poterci dichiarare almeno parzialmente tranquilli rispetto alle sorti della nostra comunità. Perché nella fabbrica ci sono i nostri giovani, i nostri parenti, i nostri amici. 

Personalmente ritengo che oltre agli interventi più urgenti, quelli che attengono un vigoroso giro di vite sulla sicurezza, si debba accelerare il passaggio alla cordata acquirente, al fine di assicurare alla fabbrica e ai suoi dipendenti una stabilità e una ripresa, sotto tutti gli aspetti, che si traduca in sicurezza, continuità produttiva e occupazionale, ossigeno per il nostro indotto, ripresa sui mercati, che piaccia o no sono quelli che decidono le sorti di qualsiasi Paese.

So che il percorso, in questo senso, è ancora in salita, soprattutto per le sacrosante rivendicazioni occupazionali. Ma confido nel buon senso di quelle parti che stavano portando avanti una trattativa importante, affinché la possano riprendere.

Infine, pur tralasciando altri aspetti che in questo momento meriterebbero altro spazio, esprimo la solidarietà mia e di Confindustria Taranto al sindaco Melucci per l’aggressione di giovedì scorso: ho atteso che allo stesso arrivassero delle motivazioni e delle scuse plausibili. E non sono arrivate: anzi. Leggo post in cui si tende a giustificare quanto accaduto e tutto ciò è grave, inammissibile, privo di qualsiasi senso.

La città ha bisogno, pur nelle diverse opinioni, di trovarsi unita: anche a discutere e infuriarsi. La violenza, sia essa verbale che fisica, divide e non risolve. Semmai, complica uno scenario già fin troppo complesso e faticoso, sulla cui soluzione tutti, nessuno escluso, dovremmo lavorare.

* Presidente Confindustria Taranto.

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