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In morte di Chèpǝ dǝ Firrǝ

di Pietro Andrea Annicelli

10/04/2021 Editoriale

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In morte di Chèpǝ dǝ Firrǝ

 

«Con l’andare del tempo si scopre che gli uomini sono dei meccanismi talmente complessi che tante volte agiscono indipendentemente dalla loro volontà. Allora finisci per trovare poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore». Non deve avere familiarità con la poetica disillusa di Fabrizio De André quel redattore d’un web giornale che ci ha tenuto a far sapere, dando la notizia della morte per Covid di Martino Greco, detto Chèpǝ dǝ Firrǝ (Capodiferro), che lo sfortunato non era, diciamo così, uno di quei lindi ragazzi in pullover che li vedi in giro con il cane ben curato e ti sembrano usciti da una pubblicità in televisione.

Veniva da esperienze di vita difficile, Chèpǝ dǝ Firrǝ. Il soprannome gli era rimasto appiccicato non per affinità con il masaniello che nel 1647 fomentò la rivolta contro i duchi Caracciolo pagando con la vita, ma, più banalmente, per l’attitudine, fin da ragazzo, a servirsi della testa dura come arma contundente nei bisticci. Me lo ricordo vagamente alla fine degli anni Ottanta, dietro la villa comunale Garibaldi dove si riunivano gli adolescenti di allora, sfrecciare tracagnotto su una motoretta con un casco a forma di scodella calato sulla preziosa capa. Era valente ed esuberante, Chèpǝ dǝ Firrǝ, e scorrazzava per le vie fermandosi ogni tanto a corteggiare qualche ragazza canticchiando le hit del momento (solo musica italiana). La passione, leggo dai commenti sui social, gli era rimasta nell’età matura, rendendolo un personaggio.

Anche in tempi recenti, mi racconta chi lo conosceva, ci provava romanticamente con qualche fanciulla. Assolutamente ligio, però, al principio che, se lei non avesse apprezzato, non avrebbe insistito. Era il codice d’onore del carcere: le donne e i bambini non si toccano neanche con un dito.

Si, era stato in carcere Chèpǝ dǝ Firrǝ. Nessuna colpa irredimibile, per carità. Tanto è bastato, però, verosimilmente, affinché il solerte redattore ci tenesse a far sapere i suoi convincimenti sulla gente per bene e la gente per male. Lucio Battisti fissa la percezione che certi hanno di quelli come Chèpǝ dǝ Firrǝ: «Odori di gente /che non conta niente». Se ti arrestano e sei Fabrizio Corona, troverai Massimo Giletti che ti ospiterà in televisione a narrare le tue pene e a litigare con Giampiero Mughini. Se ti arrestano e odori di gente che non conta niente, dovrai stare attento a dove ti porteranno per non uscirtene con i lividi e le ossa rotte.   

Chèpǝ dǝ Firrǝ dicono (dicono) che abbia pagato anche colpe non sue. Nel 2003 la sua vita cambia. Entra a far parte d’un progetto d’inclusione sociale del Comune, sindaco Leonardo Conserva, voluto dall’assessore Tonino Fumarola. «L’impegno che ha saputo con ONORE portare a termine è stato quello di rispettare il PATTO morale di non infrangere più la legge» scrivono, per ricordarlo, quelli del gruppo Vox Populi Italia su Facebook. Chèpǝ dǝ Firrǝ, anzi Martino Greco, come ridiventa agli occhi di tutti, viene assunto dalla cooperativa sociale L’Arca e s’impegna a fare il bravo ragazzo con il Comune e l’Unità esterna penale del Tribunale di Taranto. Vox Populi Italia: «Martino, fino all’ultimo giorno di vita, ha onorato davvero questo patto. Ha riscattato non solo il suo passato, ma ha davvero quotidianamente lasciato un segno in ogni centimetro quadro che ha pulito nella nostra e soprattutto Sua Città!».

Il lavoro umile fa guadagnare a Martino Greco, oltre al pane quotidiano, libertà, credibilità, dignità. S’impegna con dedizione, orgoglioso d’essere utile. Raccoglie ciò che gli addetti ai rifiuti, per contratto d’appalto, non sono tenuti a fare: liquami d’ogni genere, arbusti, residui di potature. Si occupa anche di sanificazioni di ozono e della pulizia dei bagni pubblici, in prevalenza delle scuole. «Ogni giorno portava sul lavoro due bottiglie d’acqua e un panino, a volte anche due. Condivideva con i suoi colleghi tutto ciò che poteva e aveva» raccontano quelli di Vox Populi Italia.

Allegro, empatico, solare, Martino era assai popolare per la sua espansività canora: «Bella bionda, beato chi ti sposaaa!». Oppure: «Sei bellissimaaa!». Ancora: «Mi sono innamorato di teee …». Una buona parte della popolazione femminile, ormai da decenni, era stata destinataria del suo repertorio. Scrive Anna sul gruppo di Facebook Amore per Martina: «Riposi in pace, simpaticone con le sue avances melodiche. Canti con gli angeli in cielo». E Antonella: «Hey, bella: solo a te era concesso. Ciao, riposa in pace».  

Martino se n’è andato venendo considerato quello che fondamentalmente era diventato, ma che forse, nel suo intimo, era sempre stato: una brava persona. E in Cielo chissà che non abbia trovato il Padreterno ad accoglierlo a braccia aperte e a salutarlo con la frase solita che lui rivolgeva a quelli che gli volevano bene: «U mĕgghjǝ amichǝ mìgghjǝ».                                                                                                                                                                                                                                                                                                             

 

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