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Direttore Pietro Andrea Annicelli

L'ultima intervista di Alessandro Caroli

di Pietro Andrea Annicelli

25/09/2024 Cultura

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L'ultima intervista di Alessandro Caroli

 

Ho visto Alessandro Caroli l’ultima volta il 9 aprile 2017 per il concerto organizzato dal Parnaso delle Muse, l’associazione da lui fondata e presieduta da Elena Casavola, per celebrare i suoi novant’anni. Ebbi l’onore e il piacere di ricordare, su richiesta degli amici del Parnaso, la sua opera come ideatore e fondatore del Festival della Valle d’Itria.

Sono sempre restato in contatto con sua figlia Elisabetta, una cara amica come era lui. Nel 2020, a causa d’una tempistica rigida negli orari e compromessa da un improvviso acquazzone, non riuscii ad andare a trovarlo a Roma, dove viveva: ci salutammo solo telefonicamente. Nell’agosto del ‘21 un’altra chiacchierata per telefono, formalmente un’intervista: fu l’ultima volta che parlammo. 

Alessandro era lucido e chiaro nella gestione dei ricordi. L’età avanzata aveva stemperato slanci e amarezze. Qualche tempo prima Elisabetta mi aveva regalato i suoi ultimi saggi: Zibaldone e I movimenti culturali realizzati dall’intelletto umano. Il crepuscolo della vita gli suggeriva riflessioni, memorie, meditazioni da tramandare in fretta.

Ci sono molte ragioni per cui un articolo non è pubblicato dal giornale che l’ha commissionato. Questa intervista non lo fu perché il Corriere del Mezzogiorno, con cui collaboravo, avvicendò i redattori per le ferie. Passò del tempo, quindi essa perse di attualità. Riporto integralmente i miei appunti di allora con la sola necessaria trasposizione nel linguaggio scritto.

Qualcuno può chiedersi perché pubblichi adesso e non questa estate durante la cinquantesima edizione del Festival. La risposta è: voglio far conoscere quello che Alessandro disse, non suscitare interpretazioni nel solco d’una polemica stantia: chi ha fatto cosa per fondare il Festival stesso. In proposito, mi sono espresso in maniera per me definitiva. È giusto, quindi, che gli ultimi ricordi che Alessandro Caroli mi consegnò significhino soltanto quello che egli volle dire. 

 

Cala di Rosa Marina, 24 agosto 2021

Alessandro Caroli non perde di vista il Festival della Valle d’Itria, terminato il mese scorso avvicendando alla direzione artistica Sebastian Schwartz ad Alberto Triola (è recentissima la notizia dell’ulteriore alternanza di Schwartz con Silvia Colasanti, nda). Lui, che di fatto è stato il primo direttore artistico, commenta: «Sono due eccellenti professionisti: non avrebbe senso esprimere una preferenza. Mi fido di Franco Punzi. Il Festival è stato una mia creatura ed è nella storia. Da tempo, però, non me ne interesso più. Sono grato a Punzi (venuto a mancare il 17 febbraio 2023 a ottantasette anni: gli è subentrato il nipote Michele, nda) per averne assicurato la continuità».

Hai raccontato che la storia del Festival inizia quando avesti l’opportunità di visionare il manoscritto autografo della Norma, 1831, di Vincenzo Bellini. Ti accorgesti che la protagonista sarebbe dovuta essere un mezzo soprano e non un soprano. Rifare la Norma secondo Bellini t’indusse a realizzare il Festival della Valle d’Itria.

«Si, è vero. Ci fu, però, anche un’altra ragione. Mia madre, Filomena Scialpi, fu una brava pianista. Ero il suo figlio prediletto e imparai anche io a suonare il pianoforte, per il quale mi era riconosciuto un certo talento. Un giorno mia madre mi portò in un luogo dal quale si poteva vedere tutta la Valle d’Itria. Mi disse di fondare un festival musicale. Così feci venticinque anni dopo la sua morte».

Avvenne all’inizio della sindacatura di Franco Punzi. Furono fondamentali due tuoi fratelli: Antonio, l’uomo forte della Democrazia Cristiana di allora, e Pinuccio, in piena ascesa politica.

«Anche questo è vero. Pinuccio e Antonio, in particolare Pinuccio che era onorevole, mi aiutarono a riunire degli imprenditori benefattori e a raccogliere dei fondi per avviare la manifestazione. Franco Punzi non s’interessava di musica: era il sindaco, rappresentava la città. Punzi divenne importante per la storia del Festival dopo che me ne fui andato in Australia (a dirigere una televisione in lingua italiana, nda)».

Fu Paolo Grassi ad affidargli il Festival. Che ricordo hai di lui, con il quale non legasti?

«Ho sempre avuto l’impressione che Grassi non gradisse che il Festival fosse diventato importante rapidamente, dopo poche edizioni. Forse aveva un’altra visione organizzativa. La nostra cultura musicale era diversa e non eravamo amici».

È proprio con la Norma, nella terza edizione del 1977, che il Festival si afferma. Inizialmente contattasti Maria Callas per cantare da mezzosoprano nel ruolo che fu poi di Grace Bumbry.

«Pensai che lei, che si era ritirata dalle scene nel ‘74 dopo una tournée in tutto il mondo con Giuseppe Di Stefano, potesse essere interessata a un ritorno in una parte, quella di Norma, più adatta al timbro di voce che aveva in quella fase della sua vita. Può darsi che nella documentazione del Festival esista ancora una sua lettera, che inviò in risposta alla mia richiesta, dove non esclude questa possibilità interpretativa. Poi la sua salute precaria, morirà di lì a poco, non rese possibili ulteriori approfondimenti».      

L’anno dopo una serie di amarezze, dall’uccisione di Aldo Moro, di cui eri stato collaboratore, alle difficoltà economiche del Festival, per realizzare il quale vendesti una masseria, t’indussero ad andare in Australia.

«Alvise Memmo, console in quel Paese, mi propose di costituire a Sydney una televisione per la vasta comunità italiana che viveva in quella città. Accettai».

Che cosa fa, oggi, Alessandro Caroli, novantaquattro anni, a Roma?

«Trascorro il mio tempo ascoltando la musica dei grandi: Mozart, Bellini, Donizetti. Sono in buona compagnia».

Tra tre anni il Festival della Valle d’Itria ne compirà cinquanta: andresti a vederlo?

«Volentieri».

Un suggerimento per l’opera inaugurale?

«La sonnambula, sempre di Bellini: ci sono, come nella Norma, delle melodie meravigliose».

 

 

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