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«Why vote leave» di Daniel Hannah: Daniele Capezzone sul Brexit

di Redazione

06/05/2016 I libri

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«Why vote leave» di Daniel Hannah: Daniele Capezzone sul Brexit

Daniele Capezzone, attraverso Giuditta's Files, la sua newsletter quotidiana, sta osservando con attenzione l'influenza che il referendum del 23 giugno prossimo, che vedrà gli inglesi esprimersi sull'opportunità o meno per il loro Paese di restare in Europa, avrà sugli equilibri europei, osservando i punti di vista fondati di entrambi gli schieramenti.

Oggi Capezzone valuta il libro Why vote leave del parlamentare europeo conservatore Daniel Hannan, edito da Head of Zeus, convinto assertore del Brexit, cioè dell'uscita del Regno Unito dall'Europa. Scrive l'ex portavoce di Forza Italia, oggi nei Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto: «A mio parere, qualunque sia la propria opinione sul referendum del 23, il testo di Hannan merita di essere letto con animo aperto, senza pregiudizi. Dovrebbero studiarlo anche i dubbiosi. E - per paradosso - dovrebbero esaminarlo con attenzione ancora maggiore i sostenitori della tesi opposta, gli ayatollah politicamente corretti dell’europeismo, sottoponendosi al test di trovare risposte convincenti alle documentatissime accuse di Hannan».

Il senso del libro è sintetizzato in quattro punti: «1. Hannan evoca la nota teoria di Milton Friedman sulla “tirannia dello status quo”. In questo caso, per ciò che riguarda l’Ue, non è solo una tirannia astratta, ma un concreto prepotere di interessi costituiti, di burocrazie strapagate, nominate, non elette, che hanno un preciso orientamento a mantenere le cose così come sono. Oggi, a favore dello status quo, c’è tutto il fronte che difende privilegi e assetti indifendibili: il corpaccione amministrativo dell’Ue, con il contorno di un establishment politico, sindacale, mediatico, accademico, e - peggio forse di tutto il resto - di una società civile ormai parastatalizzata, che vive di sussidi e finanziamenti pubblici, che non si capisce con quale coraggio osi usare per se stessa la definizione di “organizzazioni non governative”. 2. Hannan denuncia il carattere tecnicamente non democratico dell’attuale Ue, e una deriva che porta le istituzioni comunitarie a bypassare sistematicamente non solo la volontà degli elettori, ma ogni regola minima di accountability e di rispetto per i cittadini-contribuenti. La cosa è resa ancora più surreale dal fatto che l’Ue si fa ormai un punto d’onore nel non rispettare nemmeno la sua stessa legalità, correggendo e derogando in corsa regole e trattati, adattando casisticamente le decisioni di volta in volta, aggiustando criteri e orientamenti caso per caso, nella più totale discrezionalità e incertezza del diritto».

Gli altri due punti: «3. Questa malattia può solo propagarsi, e Hannan dedica pagine da incorniciare a quello che l’Ue provocò rispetto all’Italia del 2011, che pure - com’è noto – aveva problemi enormi, e molto contribuì dall’interno a farsi del male da sola: ma l’idea che un’autorità sovranazionale, di fatto, abbia imposto una specie di junta tecnocratica in luogo di un Governo che – bene o male – era stato scelto dai cittadini, è e resta una ferita inconcepibile agli occhi di chiunque abbia il più elementare senso democratico. 4. Hannan denuncia un’impronta dirigista, protezionista, interventista, regolatrice, che si è ormai impossessata dell’Ue, al punto da diventare una seconda natura: gli euroburocrati rifiutano perfino intellettualmente l’idea che possano esservi settori “non regolati”, lasciati al libero determinarsi delle forze del mercato. Credono che “non regolato” significhi “illegale”: questa è la loro cultura. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi: una camicia di uniformità imposta a tutti, dalla Finlandia al Portogallo, una cappa di non sviluppo, una stagnazione ormai endemica, un welfare al collasso, un Continente invecchiato, ripiegato su se stesso, impoverito e dunque impaurito.

L'analisi prosegue: «Naturalmente, Hannan non dimentica la campagna elettorale e il focus del suo volume, cioè sollecitare il supporto al Leave, e - obiettivamente - centra un punto difficilmente contestabile: il processo di rinegoziazione (che positivamente era stato promosso da David Cameron) ha ottenuto scarse concessioni dall’asse Berlino-Bruxelles. E anche nel resto d’Europa chi avrebbe dovuto (a mio avviso, l’Italia, per esempio) far tesoro di questa occasione per sollecitare non modifiche cosmetiche (quasi si trattasse di fare un favore al Governo inglese), ma correzioni sostanziali dei Trattati (nell’interesse di tutti), non ha voluto né saputo ritagliarsi un ruolo».

La conclusione riporta l'opinione di Capezzone sul Brexit, sostanzialmente non convinto completamente né dell'uscita né della permanenza del Regno Unito nell'Ue e che rimanda al giorno dopo il referendum l'azione politica che ritiene necessaria: «Brexit o no, occorrerà mobilitarsi per evitare la gabbia finale rappresentata dall’istituzione di un Ministro delle Finanze unico dell’Ue, e dalla devastante prospettiva di una armonizzazione che darebbe il colpo finale a ciò di cui l’Europa ha invece bisogno: una limpida competizione fiscale tra Stato e Stato, tra territorio e territorio, in modo che le ricette economiche vincenti (meno tasse-meno spesa-meno debito) prevalgano e facciano da modello rispetto alle altre, non viceversa».

Infine: «Quello che conta è costruire leadership politiche saldamente orientate verso i principi di libertà, mercato, concorrenza, rispetto dei taxpayers: se c’è questo, poi non sarà difficile, operando con la “cassetta degli attrezzi istituzionali”, ricostruire un’Unione che non sia un fine in sé, ma un mezzo per perseguire quegli obiettivi».

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