Giorgia Lepore: «Il mio terzo noir c'è già»
di Redazione
17/08/2017 I libri
Un mese fa Giorgia Lepore ha vinto il prestigioso Premio Romiti con il romanzo Angelo che sei il mio custode, e/o edizioni, pubblicato nella collana Sabotage diretta da Colomba Rossi e Massimo Carlotto. Protagonista, l’ispettore della squadra mobile di Bari Gregorio Esposito detto Jerry, che lo era già stato nel precedente I figli sono pezzi di cuore, per la stessa casa editrice.
Che cosa rappresenta per te questo riconoscimento?
«Sicuramente un traguardo molto importante perché si tratta d’un premio tecnico valutato da due giurie di cui la prima composta da appartenenti alla Polizia di Stato, la seconda da appartenenti alle forze dell’ordine, avvocati, magistrati. Chi scrive noir deve delineare un aspetto tecnico adeguato per essere credibile. Quando dei professionisti dell’indagine si riconoscono in quello che hai scritto, vuol dire che non hai lavorato soltanto di fantasia ma che è stato considerato un aspetto reale nel contesto narrativo. L’importanza oggettiva è poi nel fatto che alle donne sono stati finora conferiti pochissimi premi per i noir e, prima di quello assegnato a me, mai il Romiti. Come si può immaginare, sono contentissima».
C’è il ritorno dell’ispettore Esposito, che avevi inventato nel tuo primo romanzo. Perché un personaggio con queste particolari caratteristiche?
«I personaggi, i miei almeno, nascono in maniera non controllata razionalmente. Poi gli dò una forma, diciamo così, più ordinata. L’ispettore Esposito ha caratteristiche a me molto care. Innanzitutto la provenienza napoletana e l’attività svolta nel contesto barese: amo tantissimo Napoli e a Bari ci ho lavorato sei anni. Poi ha delle origini rom rimosse e io sono molto interessata ai rom perché, quando lavoravo a Roma, ho svolto parte della mia attività nei campi rom, dove ho avuto l’opportunità di conoscere e di relazionarmi a loro approfondendo la mia curiosità nei loro confronti. Dei rom, in particolare, m’interessa il loro essere apolidi avendo nello stesso tempo un’identità culturale molto forte ma non legata al territorio. Perciò mi piaceva l’idea d’un poliziotto dalle origini fondamentalmente incompatibili con lo standard del poliziotto. Questa contraddizione con se stesso mi affascina tantissimo, ci ho lavorato e ne sono scaturite tante altre cose».
Donato Carrisi, sulla copertina del tuo romanzo, ne tesse le lodi. Che cosa rappresenta lui per te?
«Un mito. Un amico. Uno scrittore che è stato un punto di riferimento su alcune cose. Anche in termini di rapporto personale. E come sostegno. Abbiamo due modi d’intendere il noir completamente diversi. Di lui mi affascina la maniera di strutturare i personaggi: mi viene in mente Padre Marcus. Credo sia uno dei maggiori scrittori del genere in Italia e a livello internazionale: un mito, appunto. Il fatto poi di averlo a Martina, e potersi confrontare anche direttamente, è fondamentale. La presenza di Donato è stata importante in alcune delle mie fasi. Poter discutere di come funziona il mondo dell’editoria con persone che conosci da sempre è una cosa bella che ti dà conforto».
Non c’è due senza tre.
«Eh ... Il terzo esiste già. È stato scritto e stanno valutando quando farlo uscire. Non sono decisioni che prendo io. In realtà la casa editrice considera anche le mie necessità. Insegno Storia dell’arte al liceo di Fasano e ci sono per me dei periodi dell’anno impossibili per le presentazioni come maggio e giugno. Penso che sarà pubblicato nella prima metà del 2018. No, il titolo non lo dico perché non è definitivo: ce ne sono due o tre in ballo. Però è sempre ambientato a Bari. Si svolge in inverno ed è una storia in cui il mio coinvolgimento emotivo è molto forte. Mi ha quasi disturbato scriverla».
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Pietro Andrea Annicelli