cronache martinesi

Direttore Pietro Andrea Annicelli

Un ragazzo degli anni Settanta

di Pietro Andrea Annicelli

12/09/2017 Editoriale

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Un ragazzo degli anni Settanta

La morte di Angelo Panico, per tutti Lino, fa ripensare con naturalezza al senso di un’epoca e alla sua congiunzione con il presente. A Martina i ragazzi degli anni Settanta, come dice bene Agostino Convertino, ebbero spunti di autentica avanguardia in termini di qualità artistica e intellettuale. La musica e la socializzazione in locali come il Giangià Club, le radio libere, i nuovi mestieri creativi, fornirono a molti un orizzonte di crescita che ha trasformato in meglio le aspettative. Persone come Nico Blasi, Gerardo Martino, Raffaele Agrusta, conservano anche nell’età matura l’apertura mentale, la capacità di relazione orizzontale, il senso critico del dubbio, propri d’una generazione che fece dell’esprimere se stessa con creatività, fantasia, libertà, un’alternativa ad arroccamenti colpevoli della repressione delle coscienze e della loro banalizzazione.

Lino Panico con la sua aria candida e beffarda, la logorrea tenace, colta e imprevedibile, la svagatezza che solo chi non lo conosceva poteva scambiare per snobismo, è stato la figura passe-partout di ambienti, gruppi, comitive. Capace di frequentare con apparente disinvoltura persone lontanissime fra loro, anche molto più giovani o anziane di lui, ma sempre pensando da sé, era l’uomo contro non per difendere un interesse o un’appartenenza, ma per vedere fino a dove portava un ragionamento. Anche se costringeva a passaggi impervi per le strade più strette, ad attraversamenti di ponti sospesi sul vuoto, ad avanzare nella giungla con il machete, a scalate e a immersioni.

Protagonista nel 1975 del film generazionale Edipo di Blasi e del compianto Dino D’Arcangelo con il quale, insieme a Martino, partecipò anche alla trasmissione Spegni la radio su un’emittente locale, Lino ha concentrato, come un caleidoscopio, le sfaccettature e le contraddizioni delle epoche che ha attraversato. Avendo variamente praticato l’anarchia, l’autarchia e la gerarchia, come lucidamente spiega Michelangelo Zizzi, nella seconda parte della vita ha potuto esprimere il suo lato conservatore ma non meno libero. Il riavvicinamento all’amico d’infanzia Pasquale Caroli, ognuno degno dell’altro per intelligenza e sensibilità, lo ha dirottato, inaspettatamente per molti, verso la professione di avvocato. Esercitata però alla sua maniera, cioè dedicandosi a casi dove la disponibilità umana contava prima del resto.

L’affetto di Cinzia Greco rende pubbliche le ultime immagini di Lino, quelle del commiato dalla sua grande amica Jenny. La loro tenera bellezza racconta d’una personalità semplice e vera nell’esprimere i sentimenti così come, senza contraddizione, sapeva essere complessa e intricata nella gestione di quelle che Rino Carrieri ha definito «le analisi sghembe». Tutto scorreva nella capacità di dare e di darsi che delineava il suo essere un uomo buono.

 

Alla fine, come tutte le creature pacifiche, ha trovato nell’amore delle persone amate la corrispondenza alle sue inquietudini e la ricompensa per la sua ricerca esistenziale. Federico Risola, figlio di Cinzia e di Pippo, è stato il figlio e il nipote che non ha avuto. Jenny e i tanti amici sono stati la sua famiglia. Tendenzialmente solitario, non è mai stato davvero solo. E non sarà dimenticato. Dire che ci mancherà insieme al suo sorriso a seconda dei casi dolce, disturbante, canzonatorio, sempre timido e mite, serve solo a smettere di ricordarlo con le parole.

Le foto di queste pagine sono di Cinzia Greco. Qui sopra, Lino Panico con Federico Risola un anno fa. Per gentile concessione.  

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di Peppe Miricola 14/09/2017

Mi ritrovo tra i miei ricordi alcune tue frasi riportate su alcune tue lettere che nel lontano 1983 ancora si usavano e ne estrapolo alcuni scorci di tue riflessioni .".........Il Dottor Panics sapeva bene che ci sono pių cose in cielo e in terra di quante ne potesse immaginare la sua filosofia e cosė, per lungo tempo, decise di non desiderare mai cosa alcuna per non allontanarsi dalla pace dei suoi studi e dalle sue meditazioni. Cosė facendo contemplava se stesso come se fosse Dio e contemplava pių volentieri la bellezza di un tramonto che gli occhi degli esseri umani. Credendosi perfetto considerava tutti umili creature di Dio e non temeva nč santi nč diavoli........".

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