Palazzo: «La fisarmonica? Uno strumento giovane»
di Redazione
03/05/2018 Musicando
Francesco Palazzo, virtuoso della fisarmonica classica conosciuto a livello internazionale, suonerà questa sera come solista nel concerto dell’Orchestra sinfonica metropolitana di Bari diretta dal maestro Giovanni Rinaldi. Palazzo eseguirà, in prima esecuzione europea nel capoluogo pugliese, il Concerto per fisarmonica e orchestra sinfonica op. 75 di Paul Creston.
Cosa significa per la musica e per la sua esperienza di musicista?
«Già una dozzina d’anni fa intendevo sempre di più allargare la mia area d’interesse suonando un repertorio con orchestra. Dopo quasi venticinque anni di attività da solista, negli ultimi ho investito moltissime energie in esperienze di musica da camera e orchestrale. Voglio ricordare in proposito, nel 2008, l’esecuzione in prima nazionale assoluta del Concerto per i popoli del compositore pugliese Luigi Morleo insieme all’Orchestra della Società dei Concerti di Bari. E al Teatro Petruzzelli, nel 2011, la prima esecuzione assoluta del concerto per fisarmonica solista e orchestra del compositore Vito Palumbo. Entrambe queste opere mi erano state dedicate. La mia intenzione di allora e di oggi è ampliare il repertorio della letteratura esistente per fisarmonica, ma anche il mio repertorio. Il concerto di Paul Creston, del 1958 ed eseguito per la prima volta due anni dopo, è una delle composizioni più importanti realizzate nel mondo della fisarmonica, sebbene scritta in una fase di transizione dello strumento e della sua letteratura. In quegli anni la fisarmonica stava facendo riscontrare un’evoluzione tecnologica che la allontanava dal retaggio popolare proiettandola nella contemporaneità. Nella fattispecie, la modifica tecnica più importante riguardava la tastiera manuale sinistra con l’abbandono degli accordi precostituiti trasformando di fatto la fisarmonica in uno strumento a due tastiere, quindi polifonico in tutti i sensi. Questa trasformazione meccanica proiettava la fisarmonica in un altro universo sonoro, oltre che espressivo ed esecutivo».
Tornando alla composizione di Creston?
«Lui si colloca, come ho detto, in un momento di transizione in cui la fisarmonica tradizionale viene superata dalla fisarmonica classica. Il suo concerto ha infatti diverse ambiguità nella scrittura che fanno intendere un pensiero musicale molto ampio e proiettato nel futuro, ma che in quel momento non veniva attuato completamente dall’esecutore, il celebre fisarmonicista Carmen Carrozza, che invece suonò nella prima esecuzione a Boston un modello di fisarmonica tradizionale. Questo concerto è stato quindi abbandonato per tanti anni perché ultimo d’un certo tipo di letteratura considerata obsoleta. Io ho pensato di recuperarlo, per attualizzarlo, riscrivendo alcuni passaggi della mano sinistra e avvalendomi della possibilità di usare più ottave e la cantabilità d’un meccanismo ormai svincolato dalla meccanica standard. Quindi questo concerto rappresenta sicuramente una pietra miliare nella letteratura della fisarmonica perché Creston è un compositore molto importante. Paradossalmente è anche poco eseguito per il suo collocarsi nella fase di transizione della fisarmonica in cui guarda al vecchio e non al nuovo. Nella scrittura della musica, però, lui presagisce già alcune delle future possibilità. Scrive infatti alcune melodie della mano sinistra che necessitano indubbiamente della fisarmonica classica. In definitiva, nella mia esperienza di musicista, questo concerto rappresenta sicuramente un punto d’arrivo perché estremamente impegnativo, difficile sul piano tecnico esecutivo, paragonabile ai concerti importanti per violino e pianoforte. È un’esperienza con la quale mi sono voluto misurare».
Lei è stato in Italia il primo diplomato in Fisarmonica e suona con un prototipo di sua ideazione. Quali sono le possibilità espressive di questo strumento riscontrate dalla sua personale ricerca?
«In realtà il mio strumento non è più un prototipo da qualche anno. Lo è stato per oltre quindici, ma adesso è prodotto in serie e diversi miei studenti già l’utilizzano, compresi due in Giappone. È uno strumento che espande al massimo la possibilità della tradizionale fisarmonica con gli accordi precomposti. Essa ha una sola ottava di bassi fondamentali, mentre nello strumento che ho ideato le ottave fondamentali sono due e, contrariamente a quello che avveniva in passato, possono essere trasposte con dei registri e spaziare in uno spettro sonoro più ampio. Ciò permette alla meccanica tradizionale delle possibilità estreme pur rimanendo nell’ambito degli accordi precomposti. Quando invece si modifica la meccanica attraverso il convertitore, che è un meccanismo che permette di trasformare la tastiera in cantabile, cioè senza gli accordi precostituiti, la fisarmonica diventa uno strumento polifonico a tutti gli effetti, molto potenziato da un punto di vista fonico e timbrico, con impasti sonori straordinari. Si tratta, dal mio punto di vista, del massimo che un esecutore possa chiedere a una fisarmonica classica da concerto».
Quali sono le prossime tappe del suo percorso per quanto riguarda l’elaborazione della sua tecnica esecutiva?
«Le evoluzioni d’una tecnica scaturiscono sempre dalle necessità e mai dalla pianificazione programmata con grande anticipo. Ritengo di aver raggiunto una maturità tecnica ed espressiva importante, ma lontana da quella che vorrei raggiungere se penso ai grandi esecutori. Mi sento ancora molto lontano da loro. Il problema è che la fisarmonica classica è uno strumento molto giovane: chi lo pratica ha dovuto sostanzialmente inventare la didattica e la tecnica. Il mio maestro, Salvatore di Gesualdo, è stato un autodidatta che ha ideato una tecnica e una prassi esecutiva. Ma chiaramente è stato l’inizio. Io mi sono confrontato con chi sentivo che potesse darmi dei consigli e degli insegnamenti validi. In particolare i pianisti, perché il pianoforte è uno strumento a tastiera con trecento anni di storia, quindi con un’esperienza di ricerca tecnica e di soluzione di problemi notevole rispetto ai cinquant’anni della fisarmonica classica. Non nascondo che tuttora, se ho bisogno di consigli e approfondimenti, parlo con dei colleghi chiedendo il loro parere. Sicuramente il mio obiettivo è riuscire a fare ancora meglio quello che già faccio. Ma non mi aspetto grandi sorprese nel senso di aggiunte di tecniche particolari».
Quali concerti ha in programma? E continuerà Folksongs, l’esperienza in duo con sua moglie, il soprano Tiziana Portoghese?
«Proprio come Folksongs riprendiamo i concerti il 28 maggio a Bari. Poi saremo il 1 giugno a Livorno, l’8 a Rothenburg e il 10 a Trossingen in Germania. A ottobre proponiamo un progetto importante in cui eseguiremo un’opera che ha come perno centrale la voce, ma anche con uno spazio importante per la fisarmonica e per l’ensemble strumentale. Certamente il duo non lo accantonerò mai perché mi piace lavorare con Tiziana ed è troppo interessante sul piano artistico. Intendo invece riproporre il concerto di Paul Creston, al quale sto lavorando da più di un anno, cercando dei direttori d’orchestra interessati a eseguirlo con me».
Prevede delle incisioni discografiche già in fase attuativa?
«Per il momento no. Preferisco andare con i piedi di piombo perché le registrazioni devono essere dei documenti sonori che rappresentino dei punti di arrivo, non una produzione autoreferenziale. Ci sono dei progetti da sviluppare sia come solista con musiche da camera che come duo. Ma vale questo principio».
Nella foto, Francesco Palazzo con Tiziana Portoghese.
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Pietro Andrea Annicelli