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Direttore Pietro Andrea Annicelli

Ilva: una drammatica storia infinita

di Vincenzo Cesareo*

17/07/2018 Editoriale

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Ilva: una drammatica storia infinita

 

È ora di dire basta. Taranto non può più essere scenario di un insopportabile gioco dell’oca ingaggiato sulla pelle della città, dei suoi abitanti, delle sue forze produttive e soprattutto delle sue speranze.

Il 26 luglio saranno sei anni di preoccupazioni, incertezze, duri colpi inferti alla nostra economia, agonie produttive e occupazionali vissute spesso lontano dai riflettori. Sei anni di stop and go estenuanti fra speranze e delusioni, risalite e fallimenti, realtà economiche tagliate fuori da un mercato oramai stravolto da una crisi anomala, senza precedenti.

Aziende che popolavano un elenco cospicuo di realtà imprenditoriali d’eccellenza di cui ora non c’è più traccia o solo un pezzo di ciò che erano. Un tessuto sfaldato di piccole e grandi economie incapaci di investire nel loro futuro perché private del loro presente. Incertezze e ancora incertezze, illuminate solo qua e là da squarci di luce sempre troppo brevi per poter dire che è tornato il sereno.

La vicenda Ilva è stata, è ancora, tutto questo. Ma le ultime settimane, contraddistinte da un’interlocuzione diretta col ministro dello Sviluppo economico, arrivata dopo le lungaggini burocratiche, i paletti istituzionali, l’antitrust europeo e i tempi morti del passaggio di consegne governativo, costituiva già di per sé un passaggio di segno positivo, da riportare, sia pure con la dovuta cautela, nell’alveo delle buone notizie, in virtù (lo avevamo detto anche noi, fra gli altri) della disponibilità del ministro Di Maio a prendere atto delle varie istanze presentategli senza nulla tralasciare delle sia pur molteplici rivendicazioni.

Di lì a poco è arrivata la notizia di uno slittamento dei tempi della gestione commissariale al 15 settembre, ovvero due mesi e mezzo in più rispetto alla data prevista per l’ingresso della cordata indiana nell’acciaieria. Una notizia tutt’altro che incoraggiante, se si considera che la fabbrica drena ogni giorno risorse ingenti, in considerazione di una produzione oramai al lumicino, e che quotidianamente, ventiquattr’ore su ventiquattro, incombe su di essa il pesantissimo gap della sicurezza (come purtroppo le ultime cronache ci confermano) a sua volta esasperato dalla mancanza, oramai da troppo tempo, di risorse fresche da destinare agli impianti e alla salvaguardia dei lavoratori.

In un quadro già fosco è intervenuta, pochi giorni fa, la richiesta del presidente della Regione Emiliano, direttamente indirizzata al ministro Di Maio, riguardante la verifica di presunte irregolarità sulla procedura che ha portato Arcelor Mittal, un anno fa, ad aggiudicarsi la gara su Ilva. Richiesta che, come è risaputo, il ministro ha tempestivamente inoltrato all’Anac, l’Autorità anticorruzione. A seguire, le voci, non ancora confermate, di un’altra cordata facente capo ad alcuni referenti del gruppo concorrente di Arcelor Mittal in fase di aggiudicazione, che starebbe riscaldando i motori.

È davvero troppo. E la preoccupazione è tanta. Non già per gli esiti della verifica: che ben venga se servirà ulteriormente a far luce su eventuali discrasie. Ma, lo ricordiamo, già esperita da organismi di controllo autorevoli come lo stesso Antitrust europeo. La preoccupazione c’è per un possibile, ulteriore e inammissibile slittamento dei tempi che dovranno condurre alla chiusura della trattativa con Arcelor Mittal e quindi al riavvio, con tutti i crismi ambientali e industriali, della complessa macchina siderurgica.

Ora più che mai occorre invece tesaurizzare i tempi che ci separano dalla scadenza di settembre e fare in modo che, anche in considerazione della pausa estiva, si arrivi a quella data forti di una visione corale, chiara e univoca. Bene ha fatto, in tal senso, il sindaco Melucci, qualche giorno fa, a esortare sia Mittal in ordine alla chiusura celere del negoziato sia i sindacati affinché trovino al più presto la quadra sulle rispettive posizioni rispetto alle problematiche ancora sul tavolo, occupazionali e non solo.

La chiarezza esplicitata dal primo cittadino sulla questione Ilva e sulla necessità essenziale che la fabbrica continui il suo percorso, ambientalizzata e rinnovata anche sul piano del suo rapporto con la città, che si auspica più aperto e propositivo rispetto al passato, ci fa ben sperare, oggi ancor di più, non soltanto perché da noi ampiamente condivisa, ma soprattutto in funzione del significato che assume in un momento così critico  per le sorti della città, del territorio circostante e, dal punto di vista delle ricadute economiche, per l’intero Paese. 

Il sistema Taranto va avanti oramai da troppi anni in ordine sparso: una condizione che l’ha inevitabilmente condotto a una ovvia frammentazione, alla nascita di diverse correnti spesso contrapposte e a una pericolosissima permeabilità e quindi assuefazione, negli ultimi anni, alle facili demagogie o peggio ancora alle correnti del qualunquismo organizzato, sia endogeno sia esogeno. Non mi riferisco, a scanso di ulteriori equivoci, né alla politica e tantomeno a certe frange estreme di ambientalismo tout court, quanto, piuttosto, a una diffusa tendenza al tanto peggio, tanto meglio che ci riporta alla logica perversa del bambino buttato via assieme all’acqua sporca. È proprio questa tendenza, purtroppo ancora molto diffusa, deleteria e radicata, che va contrastata. Abbiamo davanti solo qualche settimana per decidere le sorti della nostra comunità per gli anni che verranno. Settimane, giorni, decisivi, fondamentali, utili per tracciare un percorso netto, ben delineato rispetto alle cose da fare.

È il momento della concretezza. Occorre una voce univoca. È necessario che Taranto dia di sé l’immagine di una città, pur nella diversità delle sue tante anime, che va invece colta come un segnale di vivacità culturale e dialettica, unita e compatta nel suo progetto di futuro. 

Si tratta, per Confindustria, più che di un auspicio, di una necessità. Un’esigenza che dovrà essere recepita da tutti, con il buon senso e lo spirito di fattiva partecipazione di cui Taranto necessita per guardare finalmente avanti e diventare artefice unica della propria storia.

Il nostro auspicio, pertanto, è che la verifica in corso da parte dell’Anac possa essere esperita indipendentemente dai tempi che ci separano dal 15 settembre, entro i quali il Ministero, in cui confidiamo per una celere verifica del dossier, dovrà peraltro pronunciarsi circa l’effettiva bontà dei piani presentati da Mittal: se così non fosse, ovvero se l’indagine  dovesse comportare tempi aggiuntivi, ci troveremmo ancora una volta di fronte ad una beffa ancora una volta consumata, come già detto, sulla pelle di un’intera comunità.

Noi, come Confindustria, non staremo a guardare. Adotteremo ogni strumento possibile per contrastare una condizione di eterno stand by non più tollerabile.

* Presidente Confindustria Taranto.

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