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Stefano Caroli: «Difendiamo le colture tradizionali, ma l'olio va pagato il giusto»

di Redazione

04/04/2019 Economia

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Stefano Caroli: «Difendiamo le colture tradizionali, ma l'olio va pagato il giusto»

 

Ieri a Cisternino è stato proiettato il documentario di Entre Fronteras ExpoliaH2o nell'ambito dell'evento intitolato La macchina del tempo, organizzato dall'Associazione Bianca Guidetti Serra e da Policing Extractivism: security, accumulation, pacification. L'obiettivo era parlare del rischio che possono rappresentare le coltivazioni super intensive, da quindici anni attive in Spagna dove stanno causando problemi all'ambiente, se importate in Puglia, come c'è il rischio che avvenga. Sulle problematiche dell'olivicoltura pugliese abbiamo interpellato Stefano Caroli, mastro oleario e frantoiano, presidente dell'Associazione Frantoiani di Puglia e del Consorzio Frantoi Artigiani d'Italia.

Lei rappresenta una linea di tendenza che è quella di salvaguardare e valorizzare l'olivicoltura tradizionale.
«Diciamo di si. la nostra filosofia è dare valore al nostro territorio e al nostro cultivar».

In che cosa consiste?
«Innanzitutto va considerata la figura dell'uomo: il mastro oleario. Non si può fare un olio di qualità se non c'è l'uomo che segue l'intero processo. Le olive, a seconda della varietà, delle annate, degli agenti patogeni che possono esserci, maturano prima o dopo. Quindi vanno seguite, controllate e raccolte quando hanno raggiunto il giusto periodo di maturazione. Poi segue la lavorazione e tutto il processo della trasformazione. Il mastro oleario segue tutte queste fasi per valutare il prodotto organoletticamente oltre che analiticamente. L'obiettivo è ottenere la qualità più alta, per cui la nostra mission è ricavare un olio sempre migliore. Certamente non tutto l'olio che produciamo è di qualità altissima. Semplificando, per fare un olio di alta qualità occorre raccogliere le olive al punto giusto della loro maturazione e lavorarle al momento giusto: l'oliva è un frutto e, una volta raccolta, tende a degradarsi come qualsiasi frutto. È difficile farlo perché dobbiamo fare i conti con l'andamento climatico. Quando i tempi non sono rispettati con la massima precisione, otteniamo comunque dell'olio buono, ma non di altissima qualità. La qualità dell'olio è comunque legata al territorio e al clima. Noi, come Associazione dei Frantoiani di Puglia, collaboriamo con l'università e con associazioni interessate alla qualità dell'olio per cercare, insieme a loro, di dargli il giusto valore. Finora i prezzi non risultano consoni a far quadrare i costi di produzione dell'intera filiera».

Nessun intervento meccanico?
«Uno solo: l'utilizzo di scuotitori meccanici durante la raccolta, mentre fino a pochi anni fa era fatta a mano. Questo ci consente di ottimizzare i tempi di avvio delle olive alla spremitura».

In che cosa consiste il senso dell'artigianato che promuovete nel Consorzio Frantoi Artigiani d'Italia?
«Si tratta d'un progetto innovativo che intende fornire un olio eccellente da ogni regione d'Italia, ognuna con un proprio cultivar specifico. Ogni olio ha un disciplinare da rispettare. Questo coordinamento ci consente di disporre di molteplici cultivar diversi ma non di doppioni, per cui ogni olio è diverso dall'altro. E sotto l'etichetta c'è la firma del mastro oleario che ne certifica la qualità, come prevede una legge regionale della Puglia poi fatta propria dal Governo nazionale».

Quale idea avete delle coltivazioni super intensive sul modello spagnolo?
«È un danno se si espiantano degli ulivi secolari e se ne impiantano da coltivare in maniera intensiva. Se invece s'impiantano delle coltivazioni intensive di ulivi dove non ci sono ulivi, già il discorso è diverso. Alcuni si stanno rivolgendo ai cultivar spagnoli sostenendo che sono gli unici a dare una certa redditività. Non sono d'accordo perchè credo che non potremo mai essere competitivi con le coltivazioni spagnole, che sono fatte con meno oneri. Un esempio tra tanti: il gasolio costa il 15% in meno. Ci sono poi altre due considerazioni: i nostri territori non sono, secondo me, adatti alle coltivazioni intensive e andremmo a snaturare la nostra tipologia di olio. Qualcuno dice: lo abbiamo però fatto in passato per importare delle varietà di vitigni francesi. È avvenuto, però, perchè si trattava di produrre uve di gran lunga migliori, ottenendo quindi dei benefici e non dei danni. Resto convinto che il nostro patrimonio olivicolo e oleario non ha eguali. In Italia ci sono circa cinquecento varietà di olive. Se noi gli diamo il giusto valore, credo che ci possa essere un futuro nel garantire redditività finora non valorizzate. Ho costituito una società negli Stati Uniti e posso garantire che nel mondo c'è tanta richiesta di eccellenza italiana, purchè sia veramente tale. Perciò dobbiamo salvaguardare le caratteristiche dei nostri territori».

Quindi rincorrere gli spagnoli importando il loro modello è un gioco a perdere.
«Un litro di olio dalla Spagna costa due euro e cinquanta centesimi: non risuciremo mai a essere competitivi. Perciò dobbiamo continuare a valorizzare i nostri cultivar e difendere il nostro modello di produzione. Affinchè avvenga, però, serve ottenere un giusto ricavo. A tutti piacciono gli alberi secolari. Ma se non viene riconosciuto il giusto valore a quello che la pianta produce, e per giusto intendo almeno la possibilità di coprire i costi delle coltivazioni e della produzione olearia, è chiaro che poi diventa difficile contrastare le coltivazioni intensive. E sarebbe un suicidio economico, culturale e ambientale togliere gli impianti secolari per fare spazio alle produzioni intensive».

Xylella: a che punto è la notte?
«La notte è ancora buia. In questi giorni sarà pubblicato il decreto del Ministero dell'Agricoltura, dopo la mobilitazione dei gilet arancioni di cui facciamo parte, per risarcire i danni agli agricoltori. Mi auguro che si preveda un risarcimento anche per i frantoi. Molti di quelli che si trovano nelle zone colpite dalla xylella avevano fatto degli investimenti significativi e sono fortemente indebitati. Noi riteniamo che gli vada riconosciuto un risarcimento, eventualmente anche con la rottamazione come avvenne, in passato, per i pescherecci. Per le zone colpite dalla xylella non c'è da sperare nelle coltivazioni di ulivi. Mi auguro che la situazione cambi in futuro grazie ai nuovi cultivar che pare siano immuni. Nel territorio di Martina, finora, è stato espiantato un solo albero che a me non sembrava desse segni di malattia: fosse stato di mia proprietà, avrei fatto delle controanalisi. Nel territorio di Cisternino sono invece state estirpate diverse piante e continua il monitoraggio. Poiché c'è l'obbligo di legge di non far crescere le erbe negli uliveti perchè sono un veicolo di diffusione della xylella, sono ricorso a un sistema che ho imparato da mio padre: ci faccio pascolare i maiali della mia azienda agricola (foto in basso). I maiali sono contenti e finora non c'è traccia di xylella».

 

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