Martina Franca e il deposito nazionale delle scorie radioattive: Marisa Ingrosso ne parla
di Redazione
31/05/2019 Attualità
«Mi chiedete se il territorio di Martina Franca ha le caratteristiche per poter ospitare il deposito nazionale, con annesso parco tecnologico, nel quale dovrebbero essere messi in sicurezza i rifiuti radioattivi, da quelli ad alto rischio prodotti nelle centrali a quelli a bassa attività prodotti, ad esempio, negli ospedali? La risposta è sì. Però, in base alle deduzioni che è possibile ricavare dai fatti che si conoscono, la stessa cosa potrei dirla per diversi altri comuni pugliesi. E non solo».
Marisa Ingrosso, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno appassionata di ricerche storiche per le quali ha vinto, nel 2010, il premio Alfiere del Sud, e tre anni dopo il primo Premio nazionale per la divulgazione scientifica bandito da Ail e Cnr, è l'autrice di Sud atomico, sottotitolo Gli esperimenti, gli incidenti, le contaminazioni, edito da Radici Future. Si tratta d'uno di quei libri che creano disincanto e consapevolezza: energie preziose, di questi tempi. L'associazione Amore per Martina lo presenta oggi alla Società Operaia attraverso una conversazione dell'autrice con i giornalisti Agostino Quero e Pietro Andrea Annicelli.
Il 4 dicembre scorso Marisa Ingrosso ha pubblicato sulla Gazzetta un articolo con un dato sconcertante che risale al 2014, ma che evidentemente era sfuggito a tutti fino ad allora. In un filmato (in fondo alla pagina, ndr) della Sogin, la società pubblica incaricata di smantellare gli impianti nucleari italiani nonché di gestire e mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi, era spiegato con disegni animati come dovrebbe essere realizzato il deposito. Non vi sono riferimenti geografici tranne uno: la raffigurazione stilizzata d'uno scorcio di via Garibaldi. La stessa, nel centro antico, in cui ha sede la Società Operaia. In un altro breve passaggio del filmato sono disegnati i portici di piazza Maria Immacolata. Però con una sorta di apparente messaggio subliminale: la collocazione della fontana dei delfini, che nella realtà sorge in piazza Roma di fronte al Palazzo Ducale.
«Chi ama Martina Franca, come me, ha riconosciuto subito quei luoghi» dice Marisa Ingrosso. «Mi ha molto colpito questo riferimento geografico ben preciso perché si tratta d'un documento ufficiale realizzato con soldi pubblici. E allo stato attuale esiste un elenco, stilato da Sogin e validato dall'Ispra, delle località in tutta Italia che potrebbero ospitare il deposito. Si tratta d'uno studio coperto dal segreto di Stato. E non sappiamo quando sarà reso pubblico. Perciò il riferimento a Martina Franca nel filmato della Sogin è quantomeno singolare. E inquietante».
Nell'articolo sulla Gazzetta è riportata anche la campana della Sogin, che naturalmente dichiara casuale l'accostamento del deposito al nostro centro storico. «Contattai l'Amministrazione comunale di Martina e girai le mie informazioni, ma non vollero commentare a caldo» precisa la giornalista. «So che poi è stata inviata una nota informale ad alcuni miei colleghi, ma non a me, in cui si diceva che non c'era alcun accordo con la Sogin».
Lo spettro della rivolta civile di Scanzano Ionico nel 2003, contro la decisione per decreto dell'allora Governo Berlusconi di costruire lì il deposito nazionale, inquieta ancora i governi. La struttura è assolutamente necessaria affinché i rifiuti, dislocati in tutta Italia e stoccati in condizioni spesso precarie e pericolose, trovino una sistemazione che li garantisca al massimo da perdite, incidenti e sottrazioni dolose. Il problema è chi, come e dove lo farà. E con quali garanzie: tecniche e democratiche. Doveva essere realizzato entro il 2008. Da allora, però, la questione è diventata talmente divisiva che è stata continuamente rinviata. Fino alla procedura d'infrazione europea avviata un anno fa dalla Corte di giustizia.
«I passaggi per arrivare alla costruzione del deposito sono stati indicati nel decreto legislativo 31 del 2010» spiega Marisa Ingrosso. «L'interlocuzione con le comunità è prevista secondo una serie di confronti e di tempi prefissati che coinvolgono tanto i ministeri quanto gli enti locali. Quindi, se non si trovasse un'intesa con i territori, si avvierebbe una trattativa nell'ambito d'un comitato interministeriale, composto da Ministero dello Sviluppo economico, Ministero dell'Ambiente, Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, la Regione e il Comune interessati. Trascorsi due mesi, però, se ancora non si trovasse un accordo con l'Amministrazione comunale, la decisione ultima verrebbe affidata al Governo o, meglio, a un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri».
Ma quali sono i criteri per individuare i luoghi idonei a ospitarlo? «Matteo Salvini, in campagna elettorale, ha promesso ai sardi che non sarà in Sardegna . Il ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, escludendo il trasporto delle scorie via mare, ha depennato pure la Sicilia» evidenzia l'autrice di Sud atomico. «La Sogin esclude le aree in cui sono stati attivi impianti, come l'Itrec di Trisaia di Rotondella in Basilicata, e centrali nucleari che, ricordiamo, ancora stoccano rifiuti e materiali radioattivi. E sono: a Trino Vercellese in Piemonte, Caorso in Emilia Romagna, Latina nel Lazio, Sessa Aurunca nel Garigliano in Campania. Se poi consideriamo i criteri di esclusione che l'Ispra ha reso noti già dal 2014, tra cui il rischio di sismicità e di attività vulcanica del sottosuolo, la vicinanza della costa entro i cinque chilometri, la pendenza dei versanti oltre il 10%, l'altitudine oltre i settecento metri, le possibilità si restringono abbastanza. Si tratta di trovare dei suoli il più possibile stabili per evitare sommovimenti, causati da eventi naturali o incidenti provocati dall'uomo, che favoriscano la dispersione nell'ambiente delle sostanze radioattive. Ce ne sono alcune il cui ciclo di decadimento, cioè la fase di passaggio graduale dall'emissione di radiazioni che le rende pericolose alla stabilità che le rende innocue, avviene in pochi, in qualche decina e in qualche centinaio d'anni. C'è poi il plutonio, pericolosissimo per l'organismo umano, che dimezza la sua radioattività in circa ventiquattromila anni. Inoltre conosciamo l'elenco dei prodotti radiotossici civili, ma nel deposito ci finiranno anche quelli militari. E non sappiamo quali sono».
Nell'ipotesi che il parco tecnologico sia realizzato nel territorio martinese, quale potrebbe essere un sito idoneo? Il pensiero va subito alla base sotterranea del 3° Roc. Ufficialmente dismessa: tunnel e stanze, anche molto grandi, costruiti cinquanta metri sotto terra presso il Parco Pianelle. «Sappiamo che l'ex 3° Roc è un'infrastruttura con alcune caratteristiche favorevoli, prima fra tutte il fatto che è bunkerizzata» riconosce Marisa Ingrosso. «Il deposito nazionale stoccherà rifiuti con una attività media e bassa, ma anche, provvisoriamente, rifiuti ad alta attività e lunga vita. E poiché in Italia il provvisorio è spesso definitivo, è necessario che il deposito sia protetto non soltanto dai terremoti, ma anche da eventi esterni disastrosi e imprevedibili: ad esempio, l'incidente a un aereo di linea che ci cada sopra. Il 3° Roc è stato realizzato per proteggere bene da eventi esterni quello che è dentro. Occorre però verificare se ha le caratteristiche per proteggere anche l'ambiente esterno dal rischio di fuoriuscite di materiale radioattivo. Oggi i rifiuti ad alta attività sono rinchiusi in cask, contenitori schermati costosissimi, che possono resistere al massimo, in teoria, tra i cento e i trecento anni. Sarà quindi necessario che il deposito stesso divenga un enorme cask in grado di trattenere le eventuali perdite salvaguardando l'ambiente esterno».
Un'ultima riflessione riguarda l'economia cittadina. La dislocazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, se fatta rispettando tutti i criteri di sicurezza e di valutazione dell'impatto nel territorio che sarà designato, può rappresentare un'importante opportunità economica. Richiede, però, chiarezza a lungo termine su quelle che potranno essere le prospettive per il futuro. Potrebbe sopravvivere a Martina un'economia che oggi si sta indirizzando verso la manifattura di qualità, l'abbigliamento, l'agroalimentare, il turismo, la cultura?
Nella foto in alto, un'immagine del video della Sogin con la prospettiva, stilizzata in un disegno, di via Garibaldi nel centro antico. Nelle due foto interne, Marisa Ingrosso fotografata da Luca Turi, a sinistra, e da Tony Vece. Per gentile concessione.
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