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Direttore Pietro Andrea Annicelli

Il deposito radioattivo e Martina

di Pietro Andrea Annicelli

06/06/2019 Editoriale

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Il deposito radioattivo e Martina

 

La presentazione, una settimana fa alla Società Operaia, del libro di Marisa Ingrosso Sud atomico, Radici Future (bravi e grazie agli amici dell'associazione Amore per Martina di Giovanni Fumarola che l'hanno organizzata), richiede che sia puntualizzata la connessione tra Martina e il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi che dovrà essere costruito da qualche parte in Italia. Tutto nasce da un video (in basso nella pagina), su Youtube dal 18 dicembre 2014, che mostra come sarà il deposito con l'annesso parco tecnologico. E come potrà integrarsi con la realtà dove sorgerà.

Il video, poco più di tre minuti, è della Sogin, la società pubblica che smantella gli impianti nucleari e smaltisce i rifiuti radioattivi. La Sogin costruirà il deposito, previsto dalla legge che recepisce la normativa internazionale secondo cui ogni Paese deve gestire i rifiuti che ha prodotto. Il deposito sarà in superficie.

L'elemento attrattivo sono le ingenti risorse e i posti di lavoro previsti dove sarà realizzato: circa millecinquecento l’anno per quattro anni di cantiere, più settecento addetti durante la fase di esercizio. Vi saranno collocati e messi in sicurezza circa 78.000 metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e a media attività: sono quelli prodotti, ad esempio, negli ospedali e nell'industria. Circa 33.000 esistono. I restanti 45.000 si aggiungeranno nei prossimi cinquant'anni.

Il problema sono gli ulteriori 17.000 metri cubi di rifiuti ad alta attività. Quelli, cioè, che diventano innocui in un tempo lunghissimo. La Sogin intende stoccarli nella struttura per i cinquant'anni della sua vita operativa. Poi li trasferirebbe in un deposito geologico di profondità. Ma in mezzo secolo possono accadere molte cose. E il plutonio smette d'essere letale in un tempo superiore alla presenza dell'homo sapiens sulla Terra.

I rifiuti radioattivi in Italia sono disseminati in una novantina di siti nonché in quattro ex centrali. Il deposito nazionale è indispensabile per metterli in sicurezza. Un caso limite è stato il capannone ex Cemerad di Statte. Due anni fa, grazie al commissario straordinario Vera Corbelli, sono stati portati via 86 fusti altamente radioattivi, 59 dei quali con materiali provenienti da Chernobyl. Erano accessibili a chiunque, compresi potenziali terroristi che volessero servirsene per una bomba sporca. Il consigliere regionale Renato Perrini, che si è occupato di questa storia, mi ha detto che se la tromba d'aria a Taranto del 2012 avesse cambiato direzione, la Valle d'Itria avrebbe potuto essere contaminata: ecco a che cosa serve il deposito.

Nel video, apparentemente, non ci sono dei riferimenti geografici. È normale che sia così. Ufficialmente, infatti, le autorità non hanno deciso dove fare il deposito. Da anni l'Ispra ha un elenco, più volte aggiornato, di luoghi potenzialmente idonei: è coperto dal segreto di stato. I governi che si sono avvicendati, scottati dalla rivolta di Scanzano Ionico del 2003, non si sono pronunciati. Fino a incorrere in una procedura d'infrazione europea scattata l'estate scorsa. Certo è che il deposito dovrà essere fatto e anche presto. Ma che cosa c'entra Martina?

 

All'inizio e alla fine del video, a disegni animati, si vedono inequivocabilmente due tratti del centro storico: via Garibaldi, guardata da piazza Maria Immacolata, e la stessa piazza con i suoi portici (sopra). Al centro vi è anche in maniera incongrua, subliminale, la fontana dei delfini che si trova, nella realtà, davanti al Palazzo Ducale. È lì dal 1934, quando fu scolpita dallo scalpellino Francesco Corrente.

Marisa Ingrosso si è accorta lo scorso anno del video e dei disegni di Martina. Il 4 dicembre la Gazzetta del Mezzogiorno, di cui è redattrice, ha pubblicato un suo articolo, ripreso da alcune testate locali, in cui ha evidenziato questo documento sconcertante. Chi sta leggendo, immagini che nel video ci sia il disegno di casa sua: non sarebbe turbato? Anche perchè appare evidente che non si tratti d'un incidente esilarante come quel giornale che pose Martina sul mare avendola confusa con Polignano, o fuorviante come quella pubblicità in cui Martina diventava Erice.

Perché metterne delle immagini in un video che fa vedere come sarebbe bello integrare il deposito nel contesto in cui dovrà sorgere? E se la sede è stata scelta ma è mantenuta segreta, è possibile che quel video serva ad abituare all'idea che possa essere proprio Martina? Sono domande legittime. Eppure non hanno sollevato alcun dibattito. L'Amministrazione comunale, interpellata dalla giornalista, si è limitata a una risposta informale: non sono in corso, da parte nostra, trattative con la Sogin. Quest'ultima ha negato la connessione tra il deposito e Martina. Ma non avrebbe potuto fare altro: c'è il segreto.

Inutile trarre conclusioni affrettate. I criteri di scelta del sito devono essere scientifici e d'interesse pubblico oggettivo. A nessuno piace avere il deposito là dove vive. La scelta del sito non dovrà quindi dare adito al dubbio che s'intenda danneggiare una comunità non allineata alla politica dominante. O, al contrario, favorire cricche e clientele.

Le scorie a bassa e a media attività dovranno affluire costantemente. Perciò un conto è integrarle in una realtà economica più o meno compatibile, un altro è farlo a Martina dove si vive di manifattura, abbigliamento, turismo, agroalimentare, allevamento pregiato, cultura. Sarebbe complicato, se Martina fosse la città del deposito nazionale di rifiuti radioattivi, vendere il Festival della Valle d'Itria al Piccolo Teatro di Milano, gli abiti d'eccellenza al Pitti Uomo di Firenze, il capocollo al Salone del gusto di Torino, i cavalli e gli asini di razza in Europa.

Allo stato attuale, solo l'indizio nel video della Sogin rappresenta la metaforica pulce nell'orecchio. Ma dove potrebbe, in ipotesi, essere realizzato il deposito a Martina? Nell'intervista a Marina Ingrosso (nella foto in basso di Tony Vece, che pubblichiamo per gentile concessione), ho ragionato con lei sulla base sotterranea dell'ex 3° Roc. È plausibile perché quei cunicoli e quei locali, scavati a poche decine di metri dalla superficie nella roccia della Murgia, a suo tempo erano, in teoria, protetti da attacchi nucleari e batteriologici. Chiusa quattro anni fa dopo cinquantasei di servizio di cui cinquantuno nella catena aerea di difesa della Nato, la base è sigillata. Anche in questo caso, è inutile trarre conclusioni.

 

Un aspetto stonato è stato la reazione dell'Amministrazione comunale alla vicenda. Immagino che se chi sta leggendo avesse visto nel video il disegno di casa sua, dopo il primo turbamento avrebbe verosimilmente agito, anche legalmente, affinché la Sogin lo togliesse. L'Amministrazione comunale, per non vedere intaccata l'immagine di Martina che anche internazionalmente promuove con metodo, avrebbe potuto chiedere alla Sogin di ritoccare il video. Invece niente.

C'è da capirli. Non è da escludere, come congettura, che siano in corso dei contatti informali e riservatissimi. Forse coinvolgendo non gli amministratori, il cui potere è pro tempore, ma tecnici e imprenditori non necessariamente locali. Il decreto legislativo 31 del 2010, che fissa la procedura per localizzare il deposito, promuove si l'interlocuzione dello Stato con le comunità locali, ma gli lascia la decisione ultima se non si arriva a un accordo. Piuttosto che alimentare un clima di frustrazione, che si sarebbe ritorto sotto forma di accuse inverosimili da parte degli isterici in mala fede e dei leoni da tastiera, è plausibile che gli amministratori abbiano scelto il basso profilo augurandosi di non incrociare la patata bollente nei restanti tre anni del loro mandato. E chi vivrà, vedrà.

Ciò non toglie che parlarne sia un interesse pubblico. Ed è bene farlo: senza accuse né sensazionalismi, ma anche senza reticenze ed omissioni. Augurandoci, ovviamente, che la Sogin abbia detto il vero sulla casualità del riferimento a Martina nel video. E che la nostra città sia ben lontana dal deposito.

Una cosa è certa e va detta in via preventiva per evitare strumentalizzazioni future. Ammesso e non concesso che l'indizio nel video anticipi una scelta piuttosto che rivelarsi un infortunio o uno scherzo, gli amministratori e i politici locali c'entrano poco o nulla. La procedura di confronto dello Stato con la comunità interessata prevede il coinvolgimento dei massimi organi istituzionali, fino al Presidente della Repubblica. Perciò è importante, subito, capire il senso ultimo della presenza di Martina nel video del deposito.

Solo la chiarezza e la trasparenza, a tutti i livelli, permettono alla gente di ragionare e di non amplificare atavici sentimenti di diffidenza e di contrapposizione che prescindono dalle ragioni e dai fatti. È anche il senso ultimo di Sud atomico. Dove, a scanso di equivoci, non si parla della connessione tra Martina e il video, ma di cinquant'anni di nucleare nel Mezzogiorno.

L'alternativa, tanto più grave in tempi di strategia della paura e dell'intimidazione da parte di qualche improbabile leader politico, è continuare ad alimentare i ritardi, la sfiducia, la precarietà che reiterano l'emergenza annullando la credibilità. Cerchiamo di non farci del male.

 

Il sito della Sogin sul deposito nazionale dei rifiuti radioattivi

 

       Sud atomico lo trovate a Martina Franca presso                                         

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