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Antonio Scialpi: «Franco Micoli e noi del Pci: lavorammo per una Martina democratica»

di Pietro Andrea Annicelli

24/07/2020 Società

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Antonio Scialpi: «Franco Micoli e noi del Pci: lavorammo per una Martina democratica»

 

Ieri, in una cerimonia laica in Villa Carmine, è stato salutato Franco Micoli. La sua scomparsa offre l’occasione d’una disamina dell’azione politica svolta fin dagli anni Ottanta da una classe politica, quella dell’allora Pci, la cui azione arriva fino all’attuale Amministrazione comunale. Lo dimostra l’assessore alle Politiche culturali, Antonio Scialpi, vice sindaco, nel lontano 1987, della prima amministrazione non monocolore della Democrazia Cristiana nella storia di Martina.  

Nel ricordare Franco Micoli hai usato la metafora autoironica, malinconica, resiliente e un po’ scontata dei quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo della canzone di Gino Paoli. Alla fine, venendo prematuramente a mancare Vito Consoli nel 1989, Pino Oliva dieci anni fa, ora Franco, sei rimasto solo. In realtà in quel Pci degli anni Ottanta voi giovani laureati, espressione della classe media progressista di Martina alleata con la classe lavoratrice, eravate ben più di quattro. Quali le vostre ragioni, l’azione politica di quegli anni, la visione che ne aveva Franco Micoli?

«La metà degli anni Ottanta è sicuramente il punto più alto dell’impegno politico di Franco. Lui cercava di rendere concreto, attraverso azioni politiche e sociali molto forti insieme a noi, un pensiero che era la sintesi dei suoi studi. Era convinto, come tutti noi, che non si trattasse più d’interpretare la società e il mondo, ma di adoperarsi per cambiarli in meglio. Avendo noi fatto la scelta di restare al sud, questo cambiamento doveva partire dalla società circostante. E doveva avvenire in senso politico, economico, sociale. Perciò ci fu la scelta di lavorare al fianco della classe lavoratrice: operai, contadini, addette alle confezioni a cui trasmettere, attraverso la formazione scolastica delle centocinquanta ore, le conoscenze utili ad affermarne la libertà. L’adesione al Pci avvenne soprattutto perché lo guidava l’indimenticabile Enrico Berlinguer. Ci piaceva quella sua visione di autonomia dall’Unione Sovietica e di centralità in Italia della questione morale. In estrema sintesi, i nostri ideali prevedevano da una parte il grande impegno in favore della pace, una priorità in quel periodo storico della guerra fredda, e dall’altra l’azione costante e diretta affinché i diritti dei cittadini non fossero trasformati in favori dalla politica e dalla burocrazia istituzionale. La questione morale era il perno sul quale fondare l'azione di contrasto alla degenerazione politica del sistema di potere della Martina di allora, ma anche una condizione per liberarne l’economia dai vincoli di dipendenza».    

Nel 1987 la Democrazia Cristiana, partito unico di governo a Martina dal dopoguerra fino ad allora, vive una crisi interna che, alimentata dalla vostra azione di opposizione, provoca la fine della sua egemonia. La prima amministrazione comunale non monocolore della Dc è la giunta cosiddetta eretica tra Dc e Pci. Franco Micoli, segretario del Pci di allora, fu protagonista di quella trattativa.

«Lui subentrò a me come segretario proprio quando fu costituita quella giunta perché fui nominato vicesindaco: sindaco fu Michele Conserva, democristiano vicino alle posizioni del deputato Domenico Maria Amalfitano. Prima di me, che iniziai l’attività di consigliere comunale nel 1980 come indipendente eletto nel Pci, il segretario del partito era stato Francesco Semeraro che a sua volta era subentrato a Raffaele Carucci. Franco condusse le trattative, insieme a Vito Consoli, con Amalfitano e il senatore Giulio Orlando dopo che fallì il tentativo, voluto dal sottosegretario socialista Biagio Marzo, di costituire una giunta di programma, analoga a quella che governava la Provincia di Taranto, a cui avrebbero dovuto partecipare il Pci, il Psi e gli ex democristiani aderenti alla lista civica Nuova Democrazia guidati da Michele Ruggieri e da Pietro Liuzzi. Ci furono degli incontri a casa del consigliere comunale repubblicano Corrado De Judicibus durante i quali fu delineato il programma amministrativo. Alla fine fu costituita un’amministrazione comunale con una maggioranza tra la Dc e il Pci con l’appoggio esterno del consigliere De Judicibus e la presenza come assessore dell’ex pretore Franco De Giorgio, consigliere indipendente di sinistra eletto nel Pci». 

Come proseguì la guida politica del partito da parte di Franco?

«Lui è stato l’ultimo segretario del Pci. L’ha guidato fino allo scioglimento nel 1991 e la trasformazione in Partito Democratico della Sinistra voluta da Achille Occhetto, alla quale contribuì qui a Martina. Ha poi continuato dall’esterno a seguire le evoluzioni dell’area progressista fino alla costituzione del Partito Democratico, al quale era favorevole. Franco aveva una bella intelligenza aperta ai cambiamenti. Non era un dogmatico, uno chiuso. D’altra parte l’adesione al Pci di tutti noi era avvenuta dopo la militanza nel collettivo studentesco ai tempi dell’università e quella successiva al movimento del Manifesto, costituito dai fondatori dell’omonimo giornale che si riconoscevano nella linea libertaria, ambientalista e pacifista di Pietro Ingrao e che erano stati espulsi dal Pci, segretario era Luigi Longo, per essersi schierati nel 1968 a favore della primavera di Praga, quindi contro l’invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici. Siamo stati coerenti con la volontà di Berlinguer di adesione all’Occidente, quindi con una visione aperta e democratica della società». 

Quel Pci non era autosufficiente per amministrare Martina, com’era stata per quarant’anni la Dc.

«Tutti noi credevamo nell’unità delle forze del cambiamento perché da soli non si andava da nessuna parte. La Sinistra a Martina è stata fondamentale per organizzare coalizioni. A volte ha funzionato, altre no, però siamo sempre stati consapevoli della necessità di unire. Non ci apparteneva l’idea dell’egemonia. Franco è stato fondamentale nel movimento per la pace, a cui era legatissimo, per la lotta ai missili a medio raggio installati negli anni Ottanta in Europa: gli SS20 sovietici, i Pershing e i Cruise americani. In quegli anni lavorò per costituire a Martina un comitato per la pace. Poi c’è stato l’impegno per la legalità: sui valori della responsabilità nell’etica pubblica e privata che erano il fondamento della questione morale. Anche in questo caso si trattava d’una battaglia che si perseguiva unendo le forze migliori della città: le forse sane e oneste che erano anche in schieramenti diversi dal nostro».  

Quando ha smesso di fare politica in prima persona, Franco Micoli si è dedicato interamente all’insegnamento.

«In realtà Franco ha continuato a lavorare, ad esempio, per limitare la speculazione edilizia, per favorire l’edilizia scolastica in quelle che erano le necessità, per salvaguardare e valorizzare l’ambiente: tutte tematiche documentate nelle Feste de l’Unità dell’epoca. Sicuramente la scuola veniva prima d'ogni altra cosa nel suo impegno pubblico. Promuoveva, sia alla scuola media Battaglini che poi all’Istituto Motolese, progetti particolari che si riferivano alle problematiche sociali di quell’area popolare di Martina che è il quartiere Carmine. Franco si preoccupò con la mente e con il cuore della condizione scolastica e soprattutto della formazione degli studenti meno abbienti, favorendo la loro emancipazione culturale e critica. Questo obiettivo è stato raggiunto molto bene. Vive nel ricordo di tanti allievi e allieve che sono orgogliosi di averlo avuto come docente. Al fondo di questa missione c’era l’insegnamento di don Lorenzo Milani in Lettera a una professoressa. E poi i fondamenti della sua cultura prima teologica, poi storico-filosofica».   

Quanto ha inciso l’esperienza di studio nel seminario che è stata anche tua?

«Lui era quattro anni più grande di me. Innanzitutto non parliamo di formazione religiosa, ma cristiana. Tutto è partito da San Martino. Poi c’è stato il seminario, poi la nostra curiosità e attrazione per le voci della teologia della morte di Dio e della liberazione: mi riferisco ad autori come Harvey Cox, Dietrich Bonhoeffer, Gustavo Gutierrez, Helder Camara. Quelli furono i nostri punti di riferimento. Naturalmente ne scaturivano azioni coerenti con quelle letture che risultavano incompatibili con il mondo ecclesiastico di allora, ancora pesantemente condizionato dal conservatorismo e non attraversato in maniera feconda dallo spirito ecumenico del Concilio Vaticano II. Franco, poi, a Torino e a Rivoli era entrato in contatto con il giovane don Luigi Ciotti e con il Gruppo Abele, per cui aveva una visione del cristianesimo molto impegnata sui temi sociali come lo è ancora oggi don Ciotti. Anche l’impegno sulla questione morale è il terminale di letture e azioni coerenti con la propria coscienza. In quegli anni si guardava con entusiasmo alla Città dell’uomo del padre gesuita Bartolomeo Sorge, alla primavera palermitana di padre Ennio Pintacuda: al risveglio delle coscienze nel Mezzogiorno d’Italia per liberarsi dalle mafie attraverso azioni continue e costanti al fianco delle popolazioni e del mondo della cultura. In questo influiva la lettura di Antonio Gramsci: della funzione dell’intellettuale nel Mezzogiorno d’Italia».

Convegno del Pci negli anni Ottanta. Nella foto in alto si riconoscono da sinistra: Giovanni Ancona, Maria Antonietta Brigida, Pino Oliva, Antonio Scialpi, Isabella Massafra, Gaetano Carrozzo del Pci di Taranto, Franco Micoli. Nella foto qui sopra: Pino Oliva, Antonio Scialpi, Isabella Massafra, Gaetano Carrozzo, Franco De Giorgio (in piedi e fuori quadro nella precedente immagine). In alto, Franco Micoli (con il berretto) durante un comizio con Vito Consoli. Semi nascosto a destra: Pino Oliva. La foto in primo piano riguarda invece il comizio di Massimo D'Alema a Martina Franca nel 1987 a sostegno della campagna elettorale per la rielezione di Vito Consoli al Senato. A sinistra di D'Alema si riconoscono Franco Barchetto e Lorenzo Micoli (con il gilet rosso). Dietro di lui, Antonio Scialpi. Vito Consoli è il terzo verso destra. I due a destra nella foto sono Raffaele Carucci (semi nascosto) e Pino Oliva. Il quarto da destra verso sinistra è Franco Micoli (cerchiato).

 

Oltre a te, a Franco Micoli, a Pino Oliva e a Vito Consoli, il vostro gruppo ha via via annoverato, dentro e fuori il Pci, Francesco Semeraro, Isabella Massafra, Franco e Giovanni Ancona, Franco De Giorgio, Franco Barchetto, Lorenzo Micoli e Luigi Caliandro che sono stati rispettivamente il fratello e il cognato di Franco. E pazienza se dimentico qualcuno. Quale bilancio trai della vostra azione comune?

«Ciascuno ha dato il suo contributo d’idee e ha partecipato alla trasformazione di queste idee in azioni, coerentemente con il suo ruolo. C’è chi l’ha fatto in Consiglio comunale, chi in altre sedi istituzionali, chi nella società civile, e penso in particolare a Pino Oliva con l’associazione Mario Greco contro la speculazione edilizia. La stessa elezione al senato di Vito nel 1983 fu il risultato dell’attività intrapresa da tutti nelle rispettive realtà di azione sociale, culturale, politica. Questa comunanza d’intenti portò a scardinare il sistema di potere dell’epoca. In quegli anni ciascuno di noi, sempre secondo il proprio ruolo, diede il massimo del proprio contributo mettendo in secondo piano le proprie legittime esigenze e aspettative. L’obiettivo era cambiare la città, cambiarne lo sviluppo, recuperare l’armonia tra la città e la campagna, salvaguardare i diritti dei cittadini e dei lavoratori». 

È esatto affermare che l’Amministrazione Ancona del 2012 e quella attuale sono l’effetto a lungo termine anche del lavoro svolto dal vostro gruppo in quegli anni?

«Sicuramente. Del resto l’attuale sindaco era dentro quella strategia che prima dal Consiglio comunale negli anni Ottanta, poi dalla direzione della Cgil tra il 1984 e il 1992, promosse, ad esempio, delle battaglie storiche per l’edilizia economica e popolare da realizzare con il sistema delle cooperative. Oggi ci sono esigenze di portata diversa, per certi aspetti più ampia, oltre che la possibilità di risolvere atavici nodi dello sviluppo cittadino, penso ad esempio ai parcheggi. L’attività amministrativa avviata nel 2012, passando anche dall’esperienza amministrativa con sindaco Bruno Semeraro, è la naturale evoluzione della crescita civile della città, figlia di quelle azioni, di quei valori che negli anni Ottanta perseguimmo con coerenza, generosità e slancio. Il patto generazionale che sorregge l’attuale amministrazione comunale è arrivato dopo le battaglie che, accanto a noi, ha intrapreso la generazione più giovane della nostra: penso a Franco Demita, Maria Antonietta Brigida, Maria Concetta Palazzo, Maria Miali».   

La buona battaglia: ritieni che tu, Franco Micoli e gli altri possiate ritenervi soddisfatti di averla combattuta e di quello che ne è venuto?

«Franco, come molti di noi, era un uomo mite ma determinato. E tornando a parafrasare l’apostolo Paolo, io penso che la nostra battaglia sia stata sempre combattuta portando il nostro contributo ai valori fondamentali della giustizia e della libertà. In questo senso, sono sicuramente soddisfatto. C’è stata passione, intelligenza, volontà, onestà intellettuale e tanta fatica. È doveroso, in questo caso da parte mia, un occhio vigile e critico agli errori. È essenziale che le belle intelligenze dal volto umano, come era Franco, siano sempre libere e critiche. Lui, soprattutto negli ultimi anni, era molto sentimentale e si commuoveva facilmente. Capiva quanto costa caricarsi sulle spalle la pace, la questione morale, l’elevazione degli ultimi. Lui l’ha fatto con senso del dovere ma non con un atteggiamento rigido. È sempre stato rispettoso della libertà degli altri».

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