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Direttore Pietro Andrea Annicelli

Se la politica è contro i cittadini

di Pietro Andrea Annicelli

04/10/2020 Editoriale

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Se la politica è contro i cittadini

 

Italia Viva, il partitino personale con cui Matteo Renzi si è illuso d’emulare Emmanuel Macron, ha partecipato alle regionali in Puglia, insieme a Carlo Calenda e a residui raggruppamenti omologhi, distinguendosi per gli improperi dei capi a Michele Emiliano. I pugliesi, gente pratica, gli hanno riservato un eloquente 1,49%. A Martina se li sono filati giusto qualche parente e amico (3,28%), peraltro con Antonella Scialpi, 317 voti sui 704 complessivi delle tre liste, che alle comunali fu prima dei non eletti in Forza Italia. Non paghi, i referenti locali, invece che sostenere lealmente l’Amministrazione comunale, si dedicano a un’antica pratica dei partitini dopo un insuccesso politico: cercare visibilità questuando assessorati.

Si tratta di cinque consiglieri tutti fuoriusciti dal Partito Democratico. L’ex segretario Vincenzo Angelini e Marianna Maggi per Italia Viva. Angelita Salamida, Antonio Lafornara, Vittorio Donnici per un gruppo autodefinitosi dei liberaldemocratici: la prima referente anche di Azione, il partitino di Calenda. Intendiamoci: la colpa è anche degli altri della maggioranza che, prima delle regionali, li avevano assecondati sulla pretesa che il trasloco dal Pd comportasse la ridistribuzione degli assessorati. È una sciocchezza colossale per tanti buoni motivi. I principali: 1) i voti non sono una proprietà personale dei consiglieri, ma un impegno preso con gli elettori che non li hanno certo eletti per andarsene in altri partiti, fare gruppi autonomi e pretendere assessori contro il partito che li ha candidati mettendo in crisi la maggioranza; 2) la scelta degli assessori spetta al sindaco; 3) i cinque sono stati eletti nel Pd e oggi sarebbero in difficoltà non solo a farsi votare, ma anche a fare liste serie in caso di elezioni, ponendo un evidente problema di credibilità democratica.   

Tra loro spicca Vincenzo Angelini, portatore a Martina del verbo renziano. Angelini non è uno qualsiasi, ma è stato forse il miglior segretario che il Pd abbia avuto finora. Quattro e tre anni fa si batté prima per salvare invano il sindaco Franco Ancona dall’operazione, simile a quella di cui oggi è protagonista, che sciolse anticipatamente il Consiglio comunale, poi per ottenerne la ricandidatura. Gli ho chiesto le sue ragioni e mi ha risposto: «Quando sono stato eletto nel Pd non avrei mai pensato che sarebbe diventato tutt’uno con il M5s, dal quale sono sempre stato distante anni luce. Di chi è la colpa: mia? Sono io che ho tradito la fiducia del Pd o il Pd che ha tradito la mia?».

Il ragionamento è contorto e fuorviante. A Martina il M5s conta pochissimo e non c’è in Consiglio comunale. Il Pd ha piuttosto il problema d’essere tutt’uno con sé stesso: Angelini e gli altri quattro ne sono la dimostrazione. A livello nazionale, invece, proprio Renzi, un anno fa, ha brigato per il governo giallorosso. Il carico a chiacchiere di Rignano è fenomenale nei voltafaccia. Caduto il governo gialloverde, Nicola Zingaretti avrebbe selezionato le candidature elettorali nel Pd e i renziani sarebbero stati epurati. Meglio allora allearsi con i pentastellati che proprio lui, Renzi, non aveva voluto nel 2018. Se ad Angelini sfugge, forse è meglio smettere di fare politica e dedicarsi in esclusiva al suo eccellente Salento Chardonnay.    

Il criterio per costituire la giunta nel 2017 fu nominare assessori i primi degli eletti portando in Consiglio comunale i primi dei non eletti. Il sindaco eccepì per Antonio Scialpi, compagno di lunga data e, soprattutto, un fuoriclasse rispetto al resto dell’esecutivo. Martina Visione Comune, dove il Mahatma Scialpi era stato eletto consigliere, voleva assessore Bruno Maggi, primo dei non eletti. Ancona allora s’impose sulla bulimia da assessorati del Pd e nominò sia Scialpi che Maggi prescindendo dal modesto peso politico di Martina Visione Comune. Oggi il ragionamento dei cinque è: Italia Viva ha due consiglieri e nessun assessore, i liberaldemocratici tre consiglieri e ugualmente nessun assessore mentre il Pd ha sei consiglieri, quattro assessori, il vice sindaco e il sindaco, Martina Visione Comune tre consiglieri e due assessori, SiAmo Martina un consigliere e un assessore.

Urge la riscrittura del manuale Cencelli alla martinese, insomma, per avere due nuovi assessori in quota a Italia Viva e ai liberaldemocratici. Angelini ha detto che se cinque consiglieri su undici hanno lasciato il Pd ci saranno state delle situazioni gestite male. Può darsi. Quando però gli è stato chiesto d’essere esplicito, ha fatto orecchie da mercante. Nega d’aver fatto o voler fare i nomi degli assessori da sostituire, ma è evidente che il cerchio si restringe a tre: Antonio Scialpi, Pasquale Lasorsa, Valentina Lenoci. Il primo perché nominato dal sindaco che, se vorrà difenderlo, dovrà tornare a imporsi. Il secondo perché del partito più piccolo della maggioranza, SiAmo Martina, che ha un solo consigliere. La terza perché, dei quattro assessori del Pd, è quella eletta consigliera con meno voti.    

Un altro, però, è il ragionamento corretto e democratico, cioè rispettoso dei cittadini elettori, che occorre fare. Italia Viva, Azione, i sedicenti liberaldemocratici, tre anni fa alle comunali non c’erano. Il parametro di valutazione d’Italia Viva a Martina, quindi, sono i 704 voti del 21 settembre scorso. Anche volendo far finta di nulla su quelli da centrodestra di Antonella Scialpi (nessuna parentela con il Mahatma), quei consensi sono meno dei 720 di SiAmo Martina alle comunali. Né vale dire: noi abbiamo due consiglieri, loro uno. I due sono stati eletti nel Pd: sarebbe un ricatto politico, con un riscontro elettorale minimo, pretendere un assessorato solo per un cambio di casacca.

La Salamida, Lafornara e Donnici, rispettivamente con 236, 232 e 210 voti, sono entrati in Consiglio comunale dopo che gli eletti del Pd sono stati fatti assessori: con quale coraggio vorrebbero ora scalzarli? Tutti e tre, insieme, fanno 678 voti. Anche qui vale il discorso: l’assessorato si ottiene con il consenso o si pretende per il cambio di casacca?   

Angelini, su Facebook, ha scritto: «Ciò che ci deve guidare è la realizzazione di un programma di governo che si può portare avanti con la stessa maggioranza, purché ciascuno possa contribuire come è giusto che sia. E noi chiediamo solo di poter contribuire come gli altri. Né più, né meno». Benissimo: che cosa c’entrano gli assessorati? I cinque, se proprio non ce la facevano ad andare d’accordo con gli altri del Pd, potevano dichiararsi indipendenti e restare nella maggioranza mantenendo un profilo critico. Andarsene in altri partiti sottratti al riscontro elettorale e puntare i piedi rivendicando rappresentanza e visibilità rivela invece mancanza di rispetto verso i cittadini elettori, conseguenza d’una idea distorta che vede nei voti ricevuti una proprietà privata da usare all'occorrenza per propri fini, non, come dovrebbe essere, un atto di fiducia che si ha il dovere di rappresentare con dignità.

Dopo oltre tre anni di attività amministrativa, qualsiasi buona squadra di governo acquisisce un metodo e un affiatamento. A meno di ragioni veramente importanti, è preferibile che essa continui compatta fino al termine del mandato. Inserire nuovi elementi estranei, escludendone due abituati a lavorare con gli altri per mero calcolo politico, significa non soltanto indebolire e intralciare l’operatività, ma compromettere la fiducia: un nuovo assetto richiede tempo proprio nella fase del mandato in cui il tempo comincia a venire meno. Ed essere stato imposto per volontà politica non è il miglior viatico per un nuovo arrivato in un gruppo coeso.

Questione non secondaria, i due eventuali nuovi assessori proverrebbero dall’esterno della coalizione che ha vinto le elezioni. L’aspirante assessore d’Italia Viva, secondo indiscrezioni, potrebbe essere proprio Antonella Scialpi che tre anni fa, in Forza Italia, ha sostenuto il neo leghista Pino Pulito. Fosse vero, a quale assurdo inciucio Angelini vorrebbe costringere la maggioranza? Tanto varrebbe che il sindaco provasse a contrattare un accordo di programma di fine legislatura con Eligio Pizzigallo, Giulietta Marangi, Giovanni Basta, Michele Muschio Schiavone, Peppino Chiarelli che, fino a oggi, hanno svolto un’opposizione responsabile e non assenteista come gli ex di Forza Italia oggi nella Lega.  

Una regola della buona politica dice che cambiare l’Amministrazione comunale in corso d’opera, al punto attuale del mandato, potrebbe avvenire solo se qualche assessore non lavorasse bene, non fosse più in sintonia con gli altri o si fosse reso responsabile di comportamenti gravi e contrari all’interesse pubblico. Perciò mi auguro che il sindaco respinga la pretesa dei cinque e li lasci maturare finché non addiverranno a più miti consigli. Al contrario, Franco Ancona farebbe prevalere il principio deprecabile che trascurabili interessi privati minoritari valgono più dell’interesse generale: oltre che antidemocratico, sarebbe in controtendenza con il senso di tutta la sua esperienza politica.

Se i cinque vorranno poi votare lo scioglimento del Consiglio comunale insieme alla Lega, se ne assumeranno la responsabilità, morale e storica, di fronte a tutti i martinesi.

 

Nella foto, il simpatico collage fotografico che Agostino Convertino ha proposto sulla sua bacheca di Facebook per sviluppare una discussione sull'assessorato a rischio per Antonio Scialpi. 

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