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Ciccio Sem, Pino Oliva e Leonard Cohen

di Pietro Andrea Annicelli

04/09/2021 Società

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Ciccio Sem, Pino Oliva e Leonard Cohen

 

Ero un giovane cronista e li guardavo, Pino Oliva e Francesco Semeraro, passeggiare sullo Stradone con eleganza semplice, composta. Naturale. Aristocratica. Non da snob, intendiamoci: da gentiluomini di campagna quali erano. Ed erano come erano: non, si direbbe oggi, come la loro immagine.

Francesco, che per molti era Ciccio Sem vista la sua capacità di farsi benvolere orizzontalmente senza cedere un nonnulla in autorevolezza, lo sfottevo affettuosamente con un sorrisetto e una frase che divennero una specie di classico: «Sembri il cugino di Leonard Cohen: tu, lui e Pino potreste farvi una briscola». Rispondeva sorridendo imbarazzato per la sollecitazione alla sua spontanea vanità signorile: gli piaceva l’accostamento a un avvincente mito poetico della sua generazione. Ancor di più gli piaceva, lui che, da uomo di scuola, ogni giorno stava in mezzo ai ragazzi, che a dirlo fosse uno ancora classificabile come ragazzo. E che quindi, per la proprietà transitiva della comunicazione orizzontale, aveva il potere di riportarlo nella gioventù alla quale non apparteneva più, anagraficamente, da qualche tempo.

Pino era un martinese british. Entrambi avevano il dono dell’ironia. Garbata, immediata, schietta Pino. Più meditata Francesco. Era pur sempre un professore. Anzi, un insegnante. E lo era in servizio permanente effettivo, attento che le sue considerazioni, in particolare sulla politica di Martina, non si trasmutassero in potenziali condizionamenti all’intelligenza del suo giovane interlocutore. L’insegnamento deve scaturire dall’esempio. E Ciccio Sem, nelle affermazioni, ostentava, oculato, il beneficio del dubbio.

Avrebbe potuto essere, in politica, un eccellente rappresentante delle istanze della borghesia conservatrice. Piero Marinò ha raccontato che entrambi, molto giovani, parteciparono a Taranto a qualche riunione del Partito Liberale Italiano. Scelse invece di stare dalla parte delle classi lavoratrici del suo tempo, sempre con lo sguardo lungo alla cultura e all’arte come sinonimi di buono e di bello: l’ha ricordato, commemorandolo, il sindaco Franco Ancona.  

Chi l’ha conosciuto da studente universitario a Roma racconta che Ciccio Sem si avvicinò alla Sinistra dopo l’assassinio, il 27 aprile 1966, dello studente diciannovenne Paolo Rossi. Scout cattolico iscritto alla Gioventù socialista, Rossi fu picchiato da studenti neofascisti, che consideravano l’università La Sapienza un loro feudo, e cadde da una scalinata. Accadde a Lettere e Filosofia, dove Francesco si sarebbe laureato. Il rettore Ugo Papi, accusato di aver tollerato l’attività dei gruppi neofascisti, dovette dimettersi in seguito all’imponente protesta che coinvolse diverse altre università italiane. Rossi fu la prima vittima della violenza politica che stava per abbattersi.

Il padre scrisse dieci anni dopo: «Malgrado il colpo o i colpi ricevuti, tentava ancora di trattenere i suoi dall'avvitamento nella violenza che, accettata, riusciva a porre tutti fuori dell’obbiettivo umano e politico della crescita e della conquista democratica». In quel decennio c’erano stati molteplici eventi che avevano messo a dura prova l’incerta democrazia italiana. Il regime dei colonnelli in Grecia. Il Sessantotto. La strage di piazza Fontana e i tentativi per un governo autoritario. Le bombe neofasciste sui treni e nelle piazze. La deriva leninista dell’estrema sinistra e i primi agguati delle Brigate Rosse. La Democrazia Cristiana, che gli equilibri di Yalta avevano reso il partito stato garante della democrazia bloccata, era in profonda crisi politica e morale. Il più lungimirante dei suoi capi, Aldo Moro, fin dal ‘69 aveva avviato la strategia dell’attenzione verso il Pci per tentare di rispondere alle richieste nuove della società italiana.

Il giovane Ciccio Sem ebbe ben chiaro, da insegnante e da militante politico, il senso del suo impegno: lavorare, dal basso, per una pacifica società democratica. In cui tutti, cioè, coesistendo, beneficiassero dei diritti fondamentali fissati dalla Costituzione. Se si lasciava fare ai portatori di violenza, fosse stata quella esplicita degli opposti estremismi o implicita di chi prevaricava con l’arretratezza, l’immobilismo, l’omertà e la corruzione, non ci sarebbe stata democrazia. Fu questo il suo approccio riformista: pratico alla martinese, cioè senza zavorre ideologiche.

Divenne così un riferimento per quella borghesia progressista impegnata in politica che, vicina ai ceti popolari, avrebbe innervato a Martina il Pci che, a livello nazionale, aveva per segretario Enrico Berlinguer: l’uomo dello strappo da Mosca, il Dubcek italiano per Giampaolo Pansa. Quel Pci sarebbe subentrato, nella seconda metà dei Settanta, a quello più tradizionalista del senatore Sebastiano Carucci. E Francesco sarebbe stato in prima linea, come segretario e come consigliere comunale, a determinare le condizioni per la fine, nel 1987, alle maggioranze monocolore democristiane in Consiglio comunale che duravano dal dopoguerra. Sempre alieno al difetto atavico dei comunisti: l’egemonia. Sempre disponibile, con logica, apertura e sentimento liberali, al dialogo con le altre parti politiche. In particolare quei democristiani convinti della necessità di cambiare. Con loro i comunisti realizzarono dapprima la giunta eretica tra Dc e Pci, poi le altre amministrazioni a cui presero parte, negli anni Novanta, il Partito Democratico della Sinistra e i Democratici di Sinistra.  

Nell’83 Ciccio Sem fu decisivo, da componente della direzione provinciale, per la scelta della candidatura di Vito Consoli al Senato. Una sua candidatura alla Camera, invece, non ci fu per degli inopinati veti interni al partito. Sarebbe stato il legittimo coronamento d’un percorso, iniziato difendendo dagli abusi padronali i viticoltori e i coltivatori diretti della Valle d’Itria, in un’epoca in cui le candidature erano ancora l’effetto di un’attività politica vera e costruttiva. Il biennio da assessore alla Pubblica istruzione nei primi anni Novanta non esprime abbastanza l’importanza, l’influenza e il valore che il cugino di Leonard Cohen ebbe nella politica martinese per almeno un ventennio. Ma se per lui è stato un cruccio, non se n’è accorto nessuno.

La passione per l’arte, il lavoro d’insegnante e di preside, gli affetti familiari finirono per assorbirlo quando ritenne concluso, con la stessa semplicità con cui l’aveva intrapreso, il suo impegno diretto in politica. Addirittura, nell’ultima fase della sua vita, finì per sminuirne la rilevanza, mantenendo un profilo basso rispetto al patto generazionale che, eredità di quella stagione di dialogo tra comunisti e cattolici di cui era stato protagonista, riportò a governare gli antichi compagni Franco Ancona e Antonio Scialpi insieme alla generazione dei trentenni con l’apporto decisivo del cattolico Donato Pentassuglia.

Ciccio Sem tornò invece pubblicamente a ricevere attenzione e stima esclusivamente per l’attività che, molto probabilmente, prediligeva: la narrazione artistica, in particolare della pittura napoletana e meridionale del Seicento. Si moltiplicarono gli interventi in pubblicazioni di cultura locale dopo la bella monografia del pittore Leonardo Antonio Olivieri pubblicata dalla Fondazione Nuove Proposte nel 1989. E quattro anni da preside in Spagna a Barcellona sul finire della carriera scolastica lo distanziarono per un po’ da Martina. Città amata, ma i cui figli più sensibili inevitabilmente finiscono per risentire del fatto che, disse una volta Pino Oliva, scherzosamente ma non troppo, in riferimento a una certa mentalità conformista: «Qui la rivoluzione francese non è mai arrivata».

Francesco se n’è andato nel decennale della scomparsa di Pino. Ma se vi aspettate che lassù stiano finalmente giocando la briscola a tre con Leonard Cohen, vi suggerisco un altro scenario: lo scopone scientifico insieme a Vito Consoli e a Franco Miccoli. Quella è una generazione di comunisti che si è meritata il paradiso.  

Nella foto in primo piano (particolare), Francesco Semeraro e Pino Oliva durante un dibattito alla Società Operaia. In basso, Francesco Semeraro negli anni Ottanta da solo e, successivamente, con il gruppo consiliare del Pci. Da destra verso sinistra: Lorenzo Micoli, Francesco Semeraro, Pino Oliva, Antonio Scialpi, Giovanni Ancona, Luigi Caliandro. Tutte le immagini provengono dall'Archivio fotografico del Pci/Pds/Ds di Martina Franca tranne quella qui sopra che è una foto di famiglia. Si ringrazia per la gentile concessione. 

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